Il processo a San Mauro Pascoli
SAN MAURO PASCOLI. Nella notte delle stelle cadenti risplende quella del Partito comunista italiano. Che porta a casa un’assoluzione netta nel Processo del 10 agosto a San Mauro Pascoli organizzato da Sammauroindustria, evento aperto dal suo presidente Daniele Gasperini. Il responso popolare dei partecipanti per alzata di paletta a Villa Torlonia, parla di 376 voti per l’assoluzione e 95 per la condanna. Tenuto conto che i presenti erano circa 500 (tutti muniti di green pass), il verdetto si fa quasi plebiscitario. E al presidente del Tribunale Miro Gori, non è restato che prenderne atto e confermare “l’assoluzione con formula piena del Pci”.
Eppure le “magagne” del Pci non erano state sottaciute dall’accusatore Giuseppe Chicchi, ex parlamentare ed ex sindaco di Rimini. La più grave: la dipendenza da Mosca. “Il Pci ha avuto un rapporto subalterno all’Urss e non ha avuto il coraggio di rompere quando in tante circostanza era possibile farlo. È stato un partito al guinzaglio che ha limitato persino la sua azione riformista in nome degli equilibri internazionali e ha sempre messo in primo piano gli interessi di Mosca. Berlinguer intuì i limiti di tutto ciò ma fu tardivo nella sua azione. L’emblema di tutto è il 1989: crollano i regimi comunisti e crolla di conseguenza anche il Pci che perde la sua identità. Il cambio di nome di Occhetto non fu altro che la rappresentazione della fragilità del comunismo in Italia”.
Accuse dure, dunque, tanto più perché arrivate da sinistra. “C’è un episodio sintomatico nel Pci, nel 1926 quando Gramsci scrive a Togliatti che si trovava a Mosca nel pieno delle purghe staliniane. In quella lettera Gramsci evidenzia la centralità della società civile; il processo rivoluzionario deve essere prima sociale poi politico. E questa è una visione che è mancata al Pci”.
Il finale non ammette dubbi: “Il Pci deve essere condannato per il suo rapporto di subalternità all’Urss”.
Discorso diverso per la politologa Nadia Urbinati, la cui difesa ha fatto perno sulla “centralità del Pci nella costruzione ed estensione della democrazia in Italia”. E sul rapporto con Mosca: “E’ vero che ci fu dipendenza ma anche tensione altissima con Berlinguer. Nel Congresso del Pcus nel 1976 il segretario del Pci ribadì la centralità di valori come democrazia e pluralismo, e questo provocò gravi scontri”.
Ma è sul ruolo del Pci nella società italiana che ha posto l’accento la docente della Columbia University. “Il Pci si muove su un doppio binario: la creazione di un partito organizzato e radicato nella società; essere l’asse portante della nascente democrazia attraverso un patto costituente. Il partito fa un’attenta lettura della sconfitta del fascismo e si muove in questa doppia direzione”. Negli anni ’70 molto si attuò della democrazia progressiva (sistema sanitario nazionale, nuovo diritto di famiglia, legge sul divorzio, articolazione amministrativa…) e il Pci ebbe un ruolo centrale in questo percorso grazie alla sua forza nella società. Questo cambiò l’Italia e anche il Pci, soprattutto dopo la vittoria alle amministrative del ‘75. Molti quadri vengono catapultati nel Parlamento, e si sviluppa una capacità di governo nei territori in ambito amministrativo, fatta di servizi e pragmatismo nelle risposte, lontana dall’alone ideologico del partito. Il modello emiliano-romagnolo nasce in questo modo”.
L’appello al voto: “Il Pci deve essere assolto per la sua funzione fondativa della democrazia e per la formazione di cittadini capaci di costruire una società a misura d’uomo”.
L’esito del voto non ammette discussioni con il Presidente del Tribunale Miro Gori che legge il responso: “376 voti per l’assoluzione e 95 per la condanna. Il Pci è assolto”.
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