E' la principale eredità del G20
CESENA. Un G20 con una conclusione non indimenticabile, ma, al di là delle dichiarazioni. non era logico attendersi voli pindarici. In particolare per quanto riguarda il clima in quanto ci sono potenze come Russia, Cina e India che sono contrarie a interventi radicali. Quello che ci lascia il vertice dei grandi del mondo è soprattutto un sostantivo: multilateralismo. E’ un insieme di azioni o comportamenti coordinati di Stati o altri soggetti di relazioni internazionali che coinvolgono almeno tre interlocutori. Riguarda sia la sfera politica che economica. L’obiettivo è assumere politiche comuni e coordinate invece di azioni unilaterali o bilaterali. In soldoni, è l’esatto contrario di nazionalismo e protezionismo che poi sono parenti stretti.
Interessante è notare che sul multilateralismo abbia spinto soprattutto l’italia, ottemperando ai doveri derivanti dalla presidenza del G 20. Il sostantivo in questione è stato messo al centro del dibattito dal presidente della Repubblica e da quello del Consiglio. Quest’ultimo ha detto: “il multilateralismo è la migliore risposta ai problemi che affrontiamo oggi; per molti versi è l’ unica soluzione possibile”.
Ora resta da capire cosa resterà di questo G20 e, soprattutto, se il multilateralismo come verrà declinato diventerà nella politica italiana. E se diverrà centrale. Aspetto che non è così scontato in quanto nel Belpaese ci sono due forze politiche (Lega e Fratelli d’Italia) piuttosto distanti dal multilateralismo e l’unico del quale vogliono sentire parlare è quello con paesi (Polonia e Ungheria su tutti) che hanno una visione nazionalista e, si ha l’impressione, che considerino i partner più dei compagni di viaggio che non dei veri e propri alleati.
E’ un tema interessante anche perché si ha l’impressione che in Italia ci sia un cambiamento delle sensibilità. L’esperienza di Draghi pare aver resuscitato una borghesia che sembrava scomparsa e che s’identifica, non tanto in una connotazione sociale o censitaria, ma in una coscienza critica: quella di chi ormai riconosce, diffidandone, il linguaggio capovolto dell’offerta politica, il suo riportare ogni questione a posizioni di principio lontane dalla realtà, la sua demagogia del promettere ciò che non è mantenibile, o che è mantenibile solo al prezzo di farlo pagare ad altri. L’impressione è che stia crescendo la quota di società civile trasversale (operai, manager, impiegati e professionisti) che riconosce il linguaggio di cui è fatta la retorica dei partiti. E questa fase potrebbe essere la cartina di tornasole per capire in che misura c’è stato un cambio di sensibilità nell’opinione pubblica.
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