24 marzo 1944 eccidio fascista al Monastero della Ripa
Verso la fine della Seconda Guerra mondiale il monastero fu teatro di un terribile fatto di sangue, come testimonia la lapide posta nel muro di cinta, lato via Ripa, che ricorda la fucilazione di cinque ragazzi, avvenuta venerdì 24 marzo 1944, lo stesso giorno dell’eccidio delle Fosse Ardeatine. L’esecuzione fu compiuta in seguito al verdetto del Tribunale straordinario regionale, riunito nella caserma “Ettore Muti” di Forlì (ex “Ferdinando di Savoia”), di condanna a morte dei giovani per renitenza alla leva e diserzione alla Repubblica di Salò. Sotto il fuoco del plotone caddero: i fratelli Dino e Tonino Degli Esposti di Teodorano, Agostino Lotti di Galeata, Massimo Fantini e Giovanni Valquisti di Civitella.
La notizia della fucilazione si propagò immediatamente in città, provocando sconforto e scatenando la reazione popolare. Il lunedì successivo, allo scoccare della sirena delle 10, i 1.600 lavoratori degli stabilimenti di proprietà della famiglia Orsi Mangelli, con in testa le donne, scesero in sciopero per protesta contro il barbaro assassinio, chiedendo la sospensione della pena capitale per altri dieci giovani arrestati. L’azione di lotta, una delle prime a livello locale e nazionale, e la risolutezza delle donne che vi presero parte furono talmente forti da salvare gli altri dieci reclusi dalla condanna a morte.
Pochi mesi dopo, nel luglio del 1944, i Tedeschi misero in atto un piano per trasferire in Germania i macchinari delle più importanti fabbriche forlivesi e deportarne gli operai. Già era in atto il trasferimento della Caproni di Predappio. Commissioni militari tedesche si presentarono nelle principali fabbriche forlivesi per censire i materiali e le macchine da prelevare. Gli operai, seguendo le direttive delle Commissioni aziendali clandestine, dopo aver strappato agli industriali un anticipo di due mesi di salario, abbandonarono il lavoro. Nel frattempo, gruppi di lavoratori e partigiani delle S.A.P. (Squadre d’Azione Patriottica) provvidero a smontare i pezzi essenziali delle macchine e a nasconderli. I macchinari divenuti inutilizzabili, furono bloccati ai basamenti mediante bulloni. Alla Mangelli le tubature furono intasate con la viscosa.
Di fatto il piano dei Tedeschi non venne attuato, se non in minima parte e, a liberazione avvenuta, il salvataggio del patrimonio industriale permise poi una ripresa sufficientemente rapida della produzione. All’inizio dello stesso mese di luglio 1944, inoltre, i contadini furono invitati dal Comitato di Liberazione Nazionale (C.L.N.) a non effettuare o a ritardare la trebbiatura, allo scopo di impedire ai Tedeschi di impadronirsi del raccolto. A sostegno dei contadini furono mobilitati i reparti della 29° Brigata G.A.P. “Gastone Sozzi”. I proprietari delle trebbiatrici furono invitati a consegnare ai partigiani alcuni pezzi essenziali al loro funzionamento, minacciandoli che, nel caso si fossero messi al servizio del nemico, le loro macchine sarebbero state distrutte. Le autorità fasciste tentarono di costringere i contadini a trebbiare, fissando la data d’inizio al 10 luglio. Nella notte tra il 9 e il 10 luglio numerose trebbiatrici, alla cui guardia erano stati posti soldati fascisti, vennero date alle fiamme dai componenti della Brigata G.A.P. (Gruppi d’Azione Partigiana) mediante il lancio di bottiglie incendiarie. Lo sciopero delle trebbiatrici fu totale. Per capire il valore di questa battaglia occorre comprendere cosa significhi per un contadino il sacrificio del raccolto, frutto di investimenti e di un anno di duro lavoro, fonte principale di sostentamento per la propria famiglia.
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