I dati diffusi da The European House – Ambrosetti e A2A su quanto l’Italia abbia colpevolmente trascurato lo sfruttamento delle fonti rinnovabili debbono far riflettere.
Comitati per il “no a tutto”, sindaci compiacenti, sovrintendenti nostalgici e regioni inefficienti hanno concorso al colpevole spreco di risorse rinnovabili – gratuite e nazionali – di cui il nostro Paese fortunatamente dispone.
Ci è voluta una guerra alle porte dell’Europa per far risvegliare bruscamente l’Italia e metterla di fronte al ritardo accumulato e alle sue gravissime conseguenze in termini di perdita di indipendenza energetica del Paese.
Il Governo Draghi ha apprestato una nutrita serie di semplificazioni burocratiche (il primo serio tentativo che si sia visto da vent’anni), alcune più efficaci altre meno (per esempio sono convinta che la pianificazione delle “aree idonee” sia un grave errore che concorrerà ad incrementare il ritardo accumulato) ma non basta.
Le norme vanno approvate ma devono essere poi anche applicate con i comportamenti virtuosi.
Occorrono in particolare un cambio di passo principalmente da parte delle Regioni, cui lo Stato ha delegato il raggiungimento degli obiettivi nazionali, e del Ministero dei beni culturali, che deve apprestare linee guida che indirizzino i pareri sui progetti localizzati in aree vincolate e convincere i Sovrintendenti che tutelare il paesaggio non significa cercare di ridisegnare quello dei vedutisti dell’800 ma, governare un processo dinamico, di parziale e armonica trasformazione del paesaggio agricolo per mano dell’uomo, paragonabile a quanto accadde in Europa con la comparsa dei mulini a vento.
La Regione Emilia-Romagna è nel gruppetto delle regioni più virtuose, sotto il profilo del numero di impianti autorizzati, ma la ricerca Regions 2030 condotta da Elemens in collaborazione con Public Affairs Advisors, dimostra che c’è ancora ampio margine di recupero sull’indice di attrattività dei nuovi progetti eolici e fotovoltaici.
Gli operatori del settore delle rinnovabili sono pronti da anni al cambio di passo necessario, i progetti presentati superano di gran lunga il fabbisogno, e – alla luce delle innumerevoli difficoltà incontrate negli anni – sono ormai qualitativamente sempre più raffinati e pronti a superare le valutazioni di impatto ambientale più severe.
Chiedono solo assunzione di responsabilità da parte di tutte le amministrazioni, centrali e locali.
E nell’insieme dei comportamenti virtuosi necessari al cambio di passo occorre indicarne un ultimo, che forse è il primo: aiutare le nostre comunità ad accogliere e apprezzare gli impianti, a guardarli con gli occhi dello sviluppo sostenibile, della riduzione delle emissioni e della ricerca tecnologica, a vederli come una opportunità e non come detrimento.
Per farlo occorre spiegare che per il loro smantellamento, quando non saranno più necessari, occorrono poche settimane di lavori, e che qualsiasi alternativa è più cara, più impattante e comporta dipendenza dall’estero.
Insomma occorre usare parole di verità e abbandonare il linguaggio allarmista, che tanto piace ai populisti nostrani.
Un linguaggio intriso di occulti nemici, come le famose “multinazionali del vento” e che divide semplicisticamente il mondo in buoni e cattivi, occorre lasciar da parte i toni da curva sud e politici, amministratori e funzionari devono cominciare semplicemente a dire le cose come stanno: le rinnovabili se prima della invasione dell’Ucraina erano necessarie, ora sono indispensabili e urgentissime, e gli impianti, se li guardiamo bene, sono anche belli.
Simona Viola
candidata al Senato nel collegio uninominale Rimini e Forlì-Cesena per la coalizione di centrosinistra
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