6 Novembre 2025

“UN NO E’ SEMPRE UN NO”

di Fabrizio Rappini
 
Una sentenza di assoluzione per abusi “perché lei non era vergine” è solo l’ultimo esempio di una giurisprudenza che colpevolizza le donne e manda assolti gi uomini. Un episodio che dimostra quanta strada ci sia ancora da percorrere perché la donna sia considerata al pari del maschio.
 
I FATTI
 
Siamo ad Ancona dove in secondo grado si sta svolgendo il processo a un uomo di 31 anni (all’epoca del fatto ne aveva 25) assolto in primo grado dall’accusa di violenza sessuale nei confronti di una ragazza che ne aveva 17. Per i giudici del Tribunale di Macerata che lo assolsero in primo grado la giovane “aveva avuto pregressi rapporti sessuali e quindi avrebbe dovuto immaginare i possibili sviluppi della situazione”. In quel periodo la ragazza si trovava a Macerata per motivi di studio. Per i giudici di primo grado che avevano assolto l’uomo “lei aveva accettato di andare in un posto solitario in tarda serata e avendo accettato di baciarsi con l’imputato, era evidente che fossero in quel luogo per avere un rapporto sessuale”.
 
UN PRECEDENTE
 
Questa vicenda mi ha fatto tornare alla mente un episodio del quale mi ero già occupato.
Siamo a Firenze e alla vigilia dell’inizio dell’anno scolastico del 2023 una festa fra compagni di scuola finisce nel peggiore dei modi. Tre ragazzi, due maggiorenni e un minorenne abusano di una loro “amica” di 17 anni. Durante la festa, i tre insistono con quella che poi sarà la loro vittima perché beva alcolici e fumi qualche spinello fino a stordirsi.
Poi, nonostante la ragazza li preghi di smetterla di abusare di lei loro non ascoltano e vanno avanti nella loro opera delinquenziale.
Questi i fatti che erano stati accertati e che erano stati ribaditi davanti al Giudice dell’udienza preliminare.
 
LA SENTENZA
 
I due maggiorenni (per il minore c’era stato un procedimento a parte) vennero assolti perché, a giudizio del giudice avrebbero “sbagliato a valutare il presunto consenso dato dalla ragazza”. Un mero errore di valutazione, secondo il giudice fiorentino forse perché avevano una “concezione distorta del sesso”. Sembra ormai diventata prassi comune la comprensione con gli imputati per quanto riguarda l’aspetto soggettivo.
Nelle motivazioni della sentenza, si leggeva che “l’errata percezione, da parte degli imputati, se non cancella l’esistenza oggettiva di una condotta di violenza sessuale, impedisce di ritenere penalmente rilevante la loro condotta”.
Ma non solo. La sentenza non si era limitata a prendere per buona la tesi difensiva, ma era arrivata fino ad addentrarsi in valutazioni sulla vittima. E, come sempre (purtroppo) capita in questi casi si cade nello stereotipo della “ragazza facile che, in fin dei conti se l’è cercata”.
Secondo quanto riportato nella sentenza del Gup di Firenze in passato la giovane avrebbe avuto rapporti sessuali con uno degli imputati anche in presenza di altre persone. Questo, avrebbe portato i tre stupratori a dare per scontato il consenso della ragazza.
In buona sostanza per il giudice, sempre come riportato nella sentenza, fossero “condizionati da una inammissibile concezione pornografica delle loro relazioni con il genere femminile, forse derivante da un deficit educativo”.
 
“UN NO E’ SEMPRE UN NO”
 
In una intervista la giudice di Cassazione Paola Di Nicola Travaglini che è stata anche consulente della Commissione d’inchiesta del Senato sul femminicidio “senza entrare nel merito della sentenza che non conosco posso dire che la Cassazione è chiara nei suoi principi e il tema del consenso o del dissenso da parte della vittima e un falso problema”.
Un falso problema, spiega la Travaglini perché “la violenza sessuale non ha nulla a che fare con il sesso. La violenza sessuale è l’atto di potere di uno o più uomini su un corpo femminile”.
In tante sentenze di questo tipo, ad emergere spesso è proprio il nodo del consenso femminile.
“Dal punto di vista giuridico – dice la giudice di Cassazione – la parola consenso non c’è nel Codice penale rispetto alla violenza. L’unica cosa che conta è il comportamento dell’autore”.
In pratica, quindi, “non si può addurre l’errore da parte di chi esercita su una donna ritenendo che non abbia espresso il dissenso”.
Per la giudice “la donna non deve dimostrare nulla. Deve solo dichiarare che cosa è accaduto e se lo ha voluto o non voluto. Non c’è e non ci può essere una presunzione di consenso agli atti sessuali”
Troppo spesso le argomentazioni difensive finiscono per portare alla ribalta i comportamenti precedenti della vittima.
“Se una persona è venuta a cena da me non la legittima a entrare in casa mia. E’ la stessa cosa per la violenza sessuale”.
Infine, sul fatto di far bere la vittima fino allo stordimento, Paola Di Nicola Travaglini, è categorica.
“Far bere e sballare è una aggravante perché non consente alla vittima di applicare il dissenso”.
 
CONCLUSIONI
 
La conclusione che mi viene da fare, oggi come allora, è una semplice domanda ai giudici che hanno motivato quella e questa sentenza di assoluzione in primo grado a Macerata: cosa direbbe a una donna vittima di violenza sessuale che non se la sente di presentare denuncia, per convincerla a farla? PER ROMAGNA POST
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