L’interessante trasmissione televisiva nel corso della quale Silvio Berlusconi ha magnanimamente ospitato Michele Santoro e persino Marco Travaglio ha fatto versare fiumi d’inchiostro anche alla stampa culturalmente più accorta. Ma la comprensibile indignazione per un evento che non ha simili nelle società occidentali avanzate ha, almeno in parte, fatto velo al dato più significativo e caratterizzante dell’ennesima campagna elettorale italiana dai toni incandescenti: la centralità del messaggio televisivo.
E’ ormai un decennio che si prefigura l’avvento dei nuovi media in politica e si ripetono a nastro i necrologi sulla tv (non parliamo poi della stampa). Invece il video continua a occupare il campo. Segno di un paese arretrato e in rotta con le tendenze della società contemporanea? Può darsi. Ma anche negli Usa il cuore della campagna elettorale continua a risiedere nel pendolo tra la presenza fisica dei candidati sul territorio e la loro immagine televisiva (il mitico dibattito all’americana che si tenta ora meritoriamente d’importare in Italia).
Tornando al Belpaese, l’annuncio prematuro della dipartita del piccolo schermo, interessato o meno, ha così ancora una volta lasciando campo libero alle scorribande. Favorite peraltro dall’anarcoservilismo (secondo la celebre categoria coniata dal linguista Raffaele Simone) di larga parte dei nostri conduttori tv. Prodotto di un sistema mediatico che fa in ogni caso riferimento a un padrone. Politico o imprenditoriale che sia.
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