Tiziano Tarli racconta l’Italia che amò il ritmo sincopato del jazz, la libertà voluttuosa del ballo e lo sberleffo irriverente di un popolo che ha sempre scelto l’arte per soddisfare i suoi desideri, pulsioni e necessità.
ED: ‘Op Op trotta Cavallino. Epopea dello swing italiano’ è l’ultimo libro di Tiziano Tarli; storico musicale e musicista, Tarli va delineando una sociologia dello swing nostrano, descrivendo con ammirevole precisione analitica il contesto storico e culturale dell’Italia tra le due guerre. Come diceva Adorno, l’arte ha un duplice statuto; se da un lato è autonoma, in quanto eccentrico e unico prodotto dell’artista, dall’altro è immancabilmente ‘eteronoma’, un fatto sociale che si costituisce seguendo, adattandosi o reagendo a dinamiche più vaste, quali storia, filosofia, politica e così via.
Il nuovo genere musicale, il ballo che lo accompagna, la radio e il cinema, che in quegli anni si fa sonoro, provengono da oltre-oceano; la nostra è un’Italia che guarda all’America, dove improvvisazione, beffarda negazione degli austeri canoni passati e libertà performativa dominano la scena artistica. L’Italia cerca lo stesso; si ha bisogno di una musica sempre più popolare, in cui tutte le classi sociali si possano immedesimare. Gli italiani vogliono immergersi in atmosfere divertenti al fine di esorcizzare paura, angoscia, morte, amare realtà quotidiane in periodo di guerra.
Ancora una volta l’America è d’esempio, questa volta fortunatamente nel bene; Tiziano, mi sai dire esattamente cosa significava lo swing per gli italiani? All’epoca si viveva probabilmente l’american dream e la musica italiana, forse come nessun altro settore culturale, si è sempre rivolta oltre-oceano per emulare e poi coltivare in territorio nostrano certe sonorità, atteggiamenti ed ornamenti; da che cosa deriva questo costume?
TT: In realtà, possiamo dire che è la prima volta che gli Stati Uniti diventano il cosiddetto american dream per europei e italiani nel campo dell’intrattenimento. Sicuramente sono l’industria cinematografica e la musica jazz i due grandi propulsori. Il jazz arriva in Europa con le truppe del generale Pershing durante la prima guerra mondiale. I soldati portano con sé i primi dischi, ma soprattutto strumenti musicali e spartiti. Dovunque ci sia una base americana c’è un’orchestrina pronta ad allietare i commilitoni e non solo, con ritmi indiavolati e assolutamente nuovi per le nostre orecchie. Il ritmo sincopato, già blandamente ascoltato ai primi del secolo grazie alle compagnie di ballerini americani che si esibivano al ritmo di ragtime nei caffè concerto, dilaga e diventa una moda. E’ proprio il ballo, spigliato, informale e soprattutto sensuale, a colpire gli europei al punto tale che negli anni ’20 si parlava di vera e propria febbre! Icona d’eccezione e simbolo della modernità galoppante era la strepitosa Josephine Baker con i suoi charleston!
Dagli anni ’30 poi, è Hollywood a completare l’opera con le sue star: Greta Garbo, Marlene Dietrich, Clark Gable, Ginger Roger, Fred Astaire e molti altri ancora. La fascinazione per gli States è completa: suoni, immagini, abiti, oggetti, rumori, luci, motori…
La parte più progressista e soprattutto giovane della nostra società non poteva non rimanerne affascinata e coinvolta!
ED: Curioso e intrigante è il titolo stesso dell’opera;‘Op Op Trotta Cavallino’ è una canzone del 1943, scritta da Gorni Kramer e portata poi al successo da Natalino Otto; le parole onomatopeiche o in generale i così detti rumori linguistici (op op- la la la- tup tup, per esempio) sono infatti quasi sempre presenti nei titoli, così come nei testi, delle canzoni dell’epoca. Si desidera che il pezzo musicale persista nelle orecchie degli italiani, che poi possono facilmente canticchiare a loro volta il motivetto. Ancora una volta il riferimento è alla svolta popolare della canzone, che da opera elitaria eseguita in teatri e salotti borghesi, diventa colonna sonora in caffè, piazze e posti di lavoro.
Non solo canzoni swing seguono questa direzione, la storia della musica è universalmente e copiosamente caratterizzata da questo linguaggio non-sense, semplice e immediato; basti pensare a Simon and Garfunkel, che nella loro ‘The Boxer’ decidono intenzionalmente di lasciare versi interi alla libertà senza senso di un ‘lie la lie’, The Band in ‘The night they drove old Dixie down’ o ai Talking Heads con il loro ‘fa-fa-fa-fa-fa’ in ‘Psycho Killer’.
Tiziano, tu che oltre ad analizzare il linguaggio musicale, sei anche musicista come spiegheresti a un ‘non addetto ai lavori’ questa generale tendenza?
TT: Beh, per tentare di spiegarla, direi che essa rivela senza dubbio un’urgenza espressiva inquieta e smaniosa tanto da non poter aspettare l’arrivo delle parole e neppure la loro aggiunta in un secondo momento. E’ la musica che torna alla sua essenza: al suono e alla sua bellezza, trasformando il linguaggio in ritmo e melodia. L’artista sente che quella sua creazione è già completa così, che le parole non servono e che forse ne indebolirebbero l’effetto.
Chiaramente, come anche tu hai fatto notare, è una sensibilità trasversale e senza coordinate temporali o geografiche.
ED: ‘Op Op Trotta Cavallino. Epopea dello swing italiano’, pur essendo materiale per discussioni tra professionisti del mestiere, è prima di tutto un libro divulgativo che offre all’interessato, ma non ancora iniziato all’argomento, gli adeguati strumenti per orientarsi all’interno di un periodo storico complesso, come quello dell’Italia in piena dittatura fascista.
Il lettore di Tarli familiarizza con un linguaggio a tratti specialistico, che, nonostante faccia parte di un registro di genere, non annoia, anzi incuriosisce; così per esempio, veniamo a conoscenza della cake walk, una danza inizialmente nata per deridere il padrone bianco e poi chiamata così perché, in quanto vera e propria competizione tra coppie, i vincitori si aggiudicavano una torta.
Tarli descrive accuratamente i media dell’epoca; riviste specialistiche, i primi video sonori, e primo fra tutti, la radio: è in questo preciso momento che la radio inizia a fare breccia nel cuore degli italiani, livellando differenze sociali. Da un lato, è sì uno status symbol per il borghese che vuole ostentare il suo essere al passo con mode e tecnologie, ma è anche la quotidiana compagnia di chi non sa leggere o scrivere.
Ci puoi descrive le trasmissioni dell’epoca? Da chi erano presentate, a chi si rivolgevano? Mi sembra di capire che uno degli obiettivi radiofonici era infondere allegria e spensieratezza, forse ancora una volta per esorcizzare il clima di alta tensione.
TT: La radio è stata senza dubbio tra le innovazioni tecnologiche più rivoluzionarie della storia recente. Con lei arriva la modernità, l’era dei consumi e della società di massa. In Italia partiamo con qualche anno di ritardo, ma dagli anni ’30 diventa anche da noi un mass media a larga diffusione. A beneficiarne è soprattutto il mondo dello spettacolo e in particolare quello della canzonetta. Dai primi collegamenti con le sale da ballo, mitici sono quelli dalla sala Gay di Torino, sono molti gli spazi dedicati alla musica con le grandi orchestre Eiar, quelle di Barzizza ed Angelini su tutte, e ai suoi numerosi cantanti. Tutti i grandi della canzone di quegli anni come Rabagliati, il trio Lescano, Ernesto Bonino e Silvana Fioresi, per citarne alcuni, sono in realtà divi della radio. Il solo Natalino Otto, ostacolato dal regime per il suo stile hot e il suo eccessivo americanismo, si costruisce una carriera attorno ai dischi (78 giri), per gli altri è la scatola sonora il mezzo principe per l’ affermazione. Addirittura l’Eiar (così si chiamava la Rai di allora) istituisce sul finire degli anni ’30 due concorsi canori per cercare nuovi talenti da lanciare via etere, dove si iscrissero in totale circa seimila aspiranti cantanti, una cifra ragguardevole per quegli anni.
Tra le trasmissioni più popolari, da ricordare sicuramente “I quattro moschettieri”, primo grande successo radiofonico italiano che lancia tra gli altri Nunzio Filogamo; la “Rivistissima Cinzano” con Odoardo Spadaro, Vittorio De Sica e Macario; il “Radioaperitivo” sponsorizzato dalla ditta Campari; “L’ora del dilettante” antesignano della “Corrida” televisiva; “Canta Rabagliati”, uno spazio settimanale dedicato all’artista milanese e alle sue canzoni e per finire le due edizioni del concorso canoro sopra citato “Gara nazionale per gli artisti della canzone”.
ED: Nelle ultime pagine del libro, Tarli si sofferma minuziosamente sui protagonisti di questa nuova scena musicale; le pagine finali sono dedicate a micro biografie di uomini e donne che contribuirono alla realizzazione di tale cambiamento epocale. Ciò che colpisce con orgoglio e gioia, è proprio l’elevato numero di donne; la maggior parte dei trii, Trio Lescano, ‘le indiscusse regine della canzone italiana tra gli anni Trenta e Quaranta’, il Trio Primavera, famoso per le sue partecipazioni cinematografiche e il Trio Capinere, che poi si diede al jazz cantato in inglese, solo per citare alcuni.
La donna appare naturalmente votata all’arte e allo spettacolo; come descriveresti la dinamica di genere nello specifico swing dell’epoca?
TT: L’era dei trii vocali in Italia è inaugurato dalle sorelle Lescano nel 1936. Furono scoperte dal maestro Carlo Prato che aveva intenzione di formare un trio femminile ispirato a quello americano delle Boswell sisters che riscuoteva grandissimo successo già dalla fine degli anni ’20. Il fatto curioso che riguarda le Lescano è sicuramente quello di non essere italiane, ma olandesi e per di più di madre ebrea. Potete immaginare che in quel periodo, in Italia, non era esattamente il massimo. Eppure, la loro origine e la loro pronuncia dalle evidenti inflessioni straniere non fu per loro un handicap, ma un valore aggiunto.
Tornando alla tua domanda, nello specifico dell’epoca le donne nella musica ricoprivano quasi sempre solo il ruolo di dive, cioè di cantanti. A memoria ricordo solo la Tiziana’s band, ensemble capitanato da una ragazza al pianoforte in cui suonò anche Natalino Otto come batterista. La totalità del processo produttivo musicale era destinato ai soli maschi (musicisti, autori, produttori, maestri, discografici etc. etc.). Dovevano ancora arrivare gli anni dell’emancipazione femminile.
ED: Ci puoi ricordare alcuni talenti dell’Emilia Romagna?
TT: Tra le cantanti donne dell’Emilia Romagna spicca un nome su tutte, quello di Norma Bruni, famosissima interprete bolognese. La Bruni era un’artista conturbante e fascinosa, dalla voce sensuale, profonda e vellutata. Arrivò alla ribalta radiofonica grazie al concorso canoro di cui si parlava prima nel 1940. Tra i suoi maggiori successi, l’indimenticabile Silenzioso slow, uno dei pezzi simbolo degli anni della guerra: “…Abbassa la tua radio per favor, se vuoi sentire i battiti del mio cuore…”
Tiziano Tarli, Op Op Trotta Cavallino. Epopea dello swing italiano, Collana Curcio Musica, pp. 160, euro 20,00.
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