La Settimana del Buon Vivere ha intervistato Roberto Ravaioli di Caritas-Migrantes e Maura De Bernart, docente di storia del pensiero sociologico e di studi ebraici all’università di Bologna-Campus di Forlì. Migrantes e università: due realtà che si sono unite in un’equipe di ricerca e che conducono insieme un’indagine sulle seconde generazioni di immigrati a Forlì. Gli studenti delle scuole medie secondarie di primo e secondo grado, degli istituti di formazione professionale e del Centro Territoriale Permanente, immigrati e non, hanno compilato un questionario che mira a descrivere la loro situazione all’interno della comunità e la percezione che hanno di loro stessi.
Ravaioli e De Bernart rispondono qui alle nostre domande.
L’equipe di ricerca al completo vede la partecipazione attiva anche di Alessandro Martelli, docente di Politiche sociali all’università di Bologna-Campus di Forlì e dei due collaboratori universitari Alessandro Bozzetti e Ruggero Maffione.
Com’è nata la collaborazione tra Migrantes e l’Università degli Studi di Bologna?
Roberto Ravaioli: Migrantes è un organo riconosciuto dalla CEI che si occupa dell’inserimento di comunità migranti in varie realtà sociali. Le persone a cui questo servizio è dedicato sono stranieri e non, comunità religiose e non, tutti accumunate dal desiderio di capire il contesto cittadino in cui vivono, soprattutto nell’ottica della costruzione di un futuro dignitoso e auspicabile per i loro figli.È chiaro quindi come siano i giovani il perno della nostra ricerca, a cui si è successivamente interessata anche Caritas, come organo pastorale che da sempre lavora su temi educativi. Insieme ci siamo rivolti all’università. Ci è sembrato che si potesse così aprire uno spazio dove le nostre idee potessero dialogare con il mondo della cultura, i cui protagonisti per sensibilità e competenza, sono, come noi, interessati al tema delle migrazioni.
Maura De Bernart: Riprendo le parole di Roberto, invertendole però; competenza e sensibilità caratterizzano il nostro ambiente universitario. Prima di tutto esiste l’aspetto scientifico e di studio (un esempio fra tutti, il convegno del 2009 su Giovani e Società in Europa e nel Mediterraneo che si è tenuto qui a Forlì). Quanto alla sensibilità, siamo accomunati da simili interessi ma a vari livelli. Chi si occupa di migrazione all’interno di un contesto universitario, chi all’interno della chiesa, chi da una prospettiva civica, dalle istituzioni fino all’interesse della cittadinanza estesa. Ciò che più accomuna l’università e Migrantes è il desiderio di reagire a una città-deserto, per trovare invece la possibilità di scambi tra famiglie e persone diverse, e di diverse confessioni religiose.
Quali sono gli obiettivi della vostra indagine?
Roberto Ravaioli: Il nostro è un obiettivo di comprensione; vogliamo poter capire quello che i giovani ci hanno detto attraverso la compilazione del questionario, in modo da poter rispondere alle loro esigenze con strumenti educativi adeguati. Un altro obiettivo della nostra indagine sulle seconde generazioni è aprire un’opportunità di dialogo a tutto campo, anche interreligioso.
Maura De Bernart: Siamo ancora a una primissima fase di indagine. Il primo obiettivo di qualsiasi ricerca scientifica è la comprensione: stiamo cercando di giungere a descrivere questa seconda generazione di giovani, immigrati e non, qui a Forlì, per poi comparare le risposte dei ragazzi a quelle dei loro coetanei in Italia e in Europa.
È una situazione complessa, che può essere analizzata a vari livelli e da diverse prospettive. Per i giovani immigrati si può parlare di un paradosso, quello della seconda generazione teorizzato da Antonio Perrotti. Questo sociologo, a lungo impegnato nell’ambito educativo su temi delle migrazioni e dell’interculturalità, sosteneva che il paradosso sta nell’atteggiamento dei genitori, prima generazione in un Paese diverso dal proprio, che cercano l’integrazione e che, quando la scoprono difficile, proiettano le loro aspirazioni sui ragazzi, che a loro volta sembrano destinati ad integrarsi nella società in cui vivono solo a patto di non assomigliare ai genitori.
Quali sono fino ad ora i dati più rilevanti emersi dall’indagine?
Roberto Ravaioli: Fino ad ora abbiamo indagato un ambiente per così dire generico come la scuola. La fase successiva invece vedrà sempre come protagonisti i ragazzi, ma questa volta anche al di là dell’ambiente scolastico. Il dato più importante finora emerso è, per così dire, la transitività dell’indagine: queste domande sono importanti non solo per i ragazzi, ma anche per noi adulti che dovremmo avere una qualche funzione educativa, come genitori, insegnanti o figure religiose. Non ci siamo fermati a conoscere quello che pensano i ragazzi, ma stiamo anche leggendo il messaggio per noi adulti.
Maura de Bernart: Direi che è importante menzionare l’assoluta disponibilità delle scuole e degli insegnanti, con un particolare interesse dimostrato dal centro di formazione professionale ENAIP che, con nostro piacere, si vuole avvalere del lavoro anche per un corso d’aggiornamento per i propri insegnanti.
Alessandro Bozzetti e Ruggero Maffione, i due collaboratori dell’università di Bologna, sono andati personalmente nelle scuole (in gergo scientifico si parla di rilevazione diretta), e hanno comunicato direttamente con i ragazzi assicurando loro la totale anonimità. In più, i ragazzi si sono sentiti liberi di esprimere la loro opinione perché erano sicuri che i loro professori non sarebbero intervenuti.
Un altro elemento da rilevare è senza dubbio l’ampiezza dell’indagine: abbiamo raccolto 1026 questionari, per il 54% ragazzi e per il 46% ragazze. Oltre il 40% sperimenta situazioni di incertezza, familiare o di cittadinanza, eppure tanti sono i sogni e le speranze
Perché l’indagine sulle seconde generazioni a Forlì è Buon Vivere?
Roberto Ravaioli: La nostra ricerca è parsa subito in linea con gli eventi all’interno della Settimana del Buon Vivere e con la filosofia adottata da Legacoop, con cui condividiamo interesse e sensibilità verso il tema della migrazione. Come la Settimana del Buon Vivere, anche la nostra indagine è un servizio fatto alla città e, come tale, si vuole inserire in un contesto più precisamente pedagogico, in quanto è una proposta a favore dei giovani.
Maura de Bernart: Il buon vivere è facile preda di relativismi. Per me buon vivere è con-vivere per scongiurare lo scontro di civiltà (ci incontriamo, tra l’altro, oggi che è l’anniversario dell’11 settembre 2001) e promuovere la convivenza tra diversi, tra uomo e donna, tra ricchi e poveri che attendono giustizia, tra colti e ignoranti, tra genti di opinioni e fedi diverse. Serve un’attitudine alla trasmissione, serve trasmettere un messaggio tra generazioni e non occultarlo nel passaggio del testimone tra giovani e meno giovani. Buon vivere è anche inter-generazionalità.
A cura di Elena Dolcini
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