CERCANDO DANTE: SULLE ORME DEL POETA IN ROMAGNA

Dopotutto la nostra Romagna è più ricca di storia di quanto immaginiamo. Vanta molti più nomi illustri di quelli che solitamente vengono ricordati.
Una delle personalità più importanti connesse alla terra dolce e solatia cantata anche da Pascoli, è quella di un altro poeta simbolo della letteratura italiana, che trascorse proprio in Romagna buona parte dei suoi anni: si tratta del fiorentino di nascita ma non di costumi Dante Alighieri.
L’autore che tutti conosciamo per la sua Commedia è infatti profondamente legato a diversi siti del romagnolo, in relazione anche al fatto che durante il celebre esilio trovò accoglienza proprio in questi luoghi.
Uno dei tanti, San Benedetto in Alpe, è citato dal poeta nell’Inferno, in un famoso passo nel quale egli paragona il violento scrosciare del fiume Flegetonte con la cascata dell’Acquacheta.

“Come quel fiume c’ha proprio cammino
prima da monte Veso inver levante,
dalla sinistra costa d’appennino,
che si chiama Acquacheta suso, avante
che si divelli giù nel basso letto,
e a Forlì quel nome è vacante,
rimbomba là sovra San Benedetto
dell’Alpe, per cadere ad una scesa
dove dovria per mille esser recetto;
così giù d’una ripa discoscesa
trovammo risonar quell’acqua tinta,
sì che in poc’ora avria l’orecchia offesa.”
(Dante, Inferno, XVI, 94-105)

Il paese si trova immerso nell’Appennino Tosco-Romagnolo e deve il suo nome all’antichissima abbazia benedettina ancora oggi visitabile; la cascata, invece è meta suggestiva di numerosi percorsi di trekking attraverso le Foreste Casentinesi.

A qualche chilometro di distanza dall’Acquacheta, anche Portico di Romagna è legato alle vicende dell’Alighieri: il borgo ospita infatti il Palazzo Portinari, residenza estiva della famiglia di quella Beatrice tanto cantata dal poeta e resa eterna dai suoi versi. La tradizione attribuirebbe a questo luogo il teatro degli incontri fra lei e Dante, anche se storicamente questi “appuntamenti” risultano impossibili per almeno due motivi. In primo luogo Beatrice muore nel 1290 e Dante si trova in esilio all’Acquacheta solo tra il 1302 e il 1303; inoltre egli stesso scrive nella Vita Nova che di avere incontrato la giovane su un ponte a Firenze.
Altre fonti suggeriscono che i due avrebbero potuto vedersi a Portico durante uno dei viaggi di Dante presso il vescovo di Faenza Lottieri della Tosa, poiché i documenti storici testimoniano che Folco Portinari padre di Beatrice possedeva case in Romagna fin dal 1265.

Altra cittadina che Dante ebbe modo di conoscere è Modigliana, famosa per i castelli dei conti Guidi che si affermarono a partire dal 923 e che regnarono per oltre quattrocento anni, estendendo il loro dominio su gran parte della Romagna; la famiglia dei Guidi, guelfa, si trovò implicata in diverse vicende contro l’Italia centrale ghibellina, una delle quali ricordata anche dall’Alighieri. Si tratta infatti della Battaglia di Benevento (1266), che condusse i Guelfi alla vittoria grazie all’azione di Guido Guerra, che Dante colloca nel girone infernale dei sodomiti:

« Nepote fu della buona Gualdrada
Guidoguerra ebbe nome ed in sua vita
Fece col senno assai e con la spada »

Anche Castrocaro, sulle colline appena sopra Forlì, è importante per il percorso di Dante: essa infatti, rimase a lungo la capitale del potere mediceo in Romagna, ed è accusata dal poeta di aver contribuito alla degenerazione dei costumi e all’estinzione di una nobile civiltà. I famosi e inveenti versi del Purgatorio sono riproposti sulla facciata della chiesa di San Nicolò e con le seguenti parole si rivolgono al comune romagnolo:

“Ben fa Bagnacaval, che non rifiglia;
e mal fa Castrocaro, e peggio Conio,
che di figliar tai conti più s’impiglia.”
(Purgatorio, canto XIV)

Passiamo ora a Forlì. Camminando per le strade del centro storico, è possibile rintracciare diverse iscrizioni che riportano versi danteschi. Egli infatti fu ospite del signore Scarpetta degli Ordelaffi nel 1303, presso il quale lavorò come segretario, e durante tale soggiorno ebbe modo di vivere a contatto con la realtà forlivese.
All’epoca di Dante, infatti anche la città di Forlì era coinvolta nelle questioni fra guelfi e ghibellini: ne è un celebre esempio l’impresa, il “sanguinoso mucchio”, compiuta da Guido di Montefeltro, capitano ghibellino del popolo forlivese. La battaglia è citata anche nella Divina Commedia e incisa su una targa affissa sul campanile di San Mercuriale in Piazza Saffi:

“La terra che fé già la lunga prova
E di Franceschi il sanguinoso mucchio,
sotto le branche verdi si ritrova”
(Inferno, Canto XXVII)

Il riferimento ai Franceschi allude alla casata degli Ordelaffi, mentre le branche verdi sono gli artigli del leone verde sullo stemma che, metaforicamente, atterrarono le truppe guefle di papa Martino IV nel 1282.

Non lontano da Piazza Saffi, si può incontrare una seconda “traccia” che testimonia l’importanza di Forlì per l’Alighieri; in via Maroncelli ha sede il Palazzo dei Calboli, altra famiglia che si impose nella zona e che trova un legame anche con il nostro poema.
Sulla facciata del palazzo troneggiano questi versi:

“Questi è Rinier; questi è ‘l pregio e l’onore
della casa da Calboli, ove nullo
fatto s’è reda poi del suo valore”
(Purgatorio, Canto XIV)

Essi mostrano la figura di Ranieri de Calboli, generale famoso che, a detta di Dante, su l’unico che nella sua famiglia si distinse per valore e onore.

Il percorso sulle orme di Dante non può che concludersi a Ravenna, che conserva pure le sue spoglie. Il poeta infatti, ospite di Guido da Polenta, terminò il suo esilio proprio in questa città romagnola, dopo avere a lungo abitato presso Cangrande della Scala a Verona; morì nel settembre 1321 alla corte dei da Polenta a causa di una febbre malaria contratta nelle paludi di Comacchio.
L’epigrafe sulla sua tomba detta:
“IURA MONARCHIE SUPEROS PHLAEGETONTA LACUSQUE / LUSTRANDO CECINI FATA VOLVERUNT QUOUSQUE SED QUIA PARS CESSIT MELIORIBUS HOSPITA CASTRIS / ACTOREMQUE SUUM PETIIT FELICIOR ASTRIS HIC CLAUDOR DANTES PATRIIS EXTORRIS AB ORIS / QUEM GENUIT PARVI FLORENTIA MATER AMORIS”
(“I diritti della monarchia, i cieli e le acque di Flegetonte (gli Inferi) visitando cantai finché volsero i miei destini mortali. Poiché però la mia anima andò ospite in luoghi migliori, ed ancor più beata raggiunse tra le stelle il suo Creatore, qui sto racchiuso, (io) Dante, esule dalla patria terra, cui generò Firenze, madre di poco amore”)

Ravenna è connessa anche con un altro grande personaggio della Commedia, che con la sua vicenda struggente e appassionata ha reso celebre il quinto canto dell’Inferno: si tratta di Francesca da Polenta, uccisa dal marito per via dell’amore verso il cognato Paolo.
Ella si presenta a Dante affermando di provenire da Ravenna attraverso una perifrasi;

“Siede la terra dove nata fui
su la marina dove ‘l Po discende
per aver pace co’ seguaci sui”

In realtà sono molti altri i luoghi vicini a noi citati dal poeta (Bertinoro, Terra del Sole, Polenta…) e i personaggi che egli ricorda nel suo Aldilà (l’astrologo Guido Bonatti, l’assassino di Paolo e Francesca, Gianciotto Malatesta, i Montefeltro); la vita di Dante come uomo e poeta sarà indissolubilmente ed eternamente intrecciata alla nostra terra…

dantesinferno

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Francesca Ture

Mi chiamo Francesca Maria Ture, ho diciannove e sono di Forlì. Frequento il quinto anno al Liceo Scientifico della mia città; non ho molto altro da dire visto che di esperienze lavorative o formative non ne ho, dato che studio ancora a scuola. Spero bastino queste poche righe!