di Elide Giordani
Sulla spiaggia della Bassona i “musi rossi” arrivano dal mare e il generale Custer indossa braghe da bagno hawaiane. Nel suo “Fort Apache”, che non manca di bandiera d’ordinanza, però non ci sono le giubbe blu ma una moglie che cuoce al sole e un gruppetto di bambini operosi: sono gli unici che lavorano instancabili alla fortificazione continuando a portare sabbia intorno alla palizzata. Anche il generale Custer, del resto, se ne sta sbracato con il sole sulla pancia.
Poi basta fare quattro passi più in là e il film cambia.
C’è chi ha fatto del suo meglio per replicare il set di Cast Away, chi si accontenta di un selvaggio ricovero da Robinson Crosue, chi mette in pratica il manuale delle Giovani Marmotte e chi erige strutture da villaggio amazzonico.
Di certo, in questa meravigliosa striscia di spiaggia tra Lido di Classe e le anse del Bevano che ci ricorda com’era l’”Adriatico selvaggio”, i relitti portati da un mare non addomesticato stimolano la fantasia e un pervicace fai da te.
Una teoria infinita di fragili architetture accompagna lo sguardo. L’insieme è catartico, caotico, tribale e dirompente.
Non ci sono gli ombrelloni ma tutto il resto. Boe, corde, assi, tronchi che arrivano da chissà dove, lavati dall’acqua salmastra e prosciugati dal sole, sembrano gettati apposta tra la pineta e il mare. Chissà che storia hanno, che vita hanno già vissuto. Chi sceglie il sole della Bassona sa di poterci contare per un ricovero provvisorio – le mareggiate invernali provvederanno a ricreare il caos naturale – completato da vele tese tra i tronchi piantati sulla sabbia (alcuni si portano allo scopo veri e propri lenzuoli) per arginare il sole d’agosto e creare un’effimera intimità. E se sotto alcuni i corpi stesi hanno solo un asciugamano tra la pelle e la sabbia, sotto altri compaiono salottini di plastica richiudibili trascinati fin lì col sudore di sette camice.
Di certo si tratta di un’immagine del tutto inconsueta sul litorale romagnolo trafitto da milioni di ombrelloni allineati come fanti di un immenso esercito. Qui, invece, caos e fantasia vanno a braccetto.
Ne approfittano quelli che non vogliono pagare ombrelloni e lettini (la crisi…), quelli che amano il contatto esclusivo con la natura e guardano con la puzza sotto al naso i forzati dell’ombrellone intruppato, e, in gran numero, gli “uomini che amano gli uomini”. Sfrattati – non senza resistenze degne di una causa appassionata – i nudisti che un tempo caratterizzavano il luogo, restano l’unica trasgressione. Ma chi ci fa più caso… Se non fosse che vanno a coppie, con la riconoscibile geografia di certi tatuaggi sulle spalle e sulle braccia, i capelli rasati, le basette che scendono sulle mandibole, lo sguardo macho (tutti, anche quelli che non lo sono) e l’imprescindibile orecchino, non verrebbero neppure classificati. Sono discreti e riservati. Guardano il mare in silenzio, si arrostiscono sotto la sole e, al massimo, si massaggiano con nonchalance a vicenda con la crema solare.
Ma una passeggiata da Lido di Classe fino all’area vietata al passaggio che anticipa foce Bevano non è solo l’incontro con un’antropologia varia e con l’effimera architettura dei materiali rigettati dal mare, è un’esperienza che ricarica spirito e corpo (5 chilometri di camminata sul bagnasciuga tra andata e ritorno). Davanti c’è una mare libero e lucente bordato da una spiaggia infinita, in fondo c’è la fascia marrone della pineta di Lido di Dante bruciata qualche settimana fa, in mezzo l’area naturalistica col divieto d’accesso per non disturbare le colonie di uccelli che qui nidificano e rendono ancora più affascinante il luogo.
Peccato che s’incontrino anche i soliti maleducati che ignorano il cartello di divieto, e se ne vanno indifferenti a disturbare gabbiani e rondini di mare, e qualche deviato esibizionista che ne approfitta per dare sfogo alla propria sessualità malata.
Questo post è stato letto 277 volte