A furia di registrare alluvioni, siccità, anni con temperature sempre più elevate e fenomeni metereologici sempre più estremi ormai si parla del cambiamento climatico con molta naturalezza.
Oggi non si rischiano più sorrisetti di compatimento, ma non è sempre stato così. Se vado indietro a 30, 15 o anche solo 10 anni fa c’era sempre qualcuno pronto ad alzare le spalle, liquidando il tutto con una battuta, magari sui risparmi che avremmo realizzato spegnendo il riscaldamento invernale. Erano più o meno gli stessi che in separate sedi ricordavano che per vincere le elezioni era meglio non mettere radicalmente in discussione l’attuale modello di sviluppo e sfruttamento delle risorse non rinnovabili del Pianeta. Ora che nel “climate change” siamo dentro fino al collo, ne vediamo gli effetti drammatici e quelli più subdoli, soprattutto nei settori economici più esposti come quello agroalimentare. Anche in Romagna vediamo gli estremi di siccità e piovosità intense e prolungate sulle raccolte e sulle rese produttive. Vediamo l’invasione di specie parassite “aliene” e il cambiamento dei calendari di maturazione dei prodotti agricoli.
Nei giorni scorsi è scattato l’allarme anche sugli effetti nel made in Italy agroalimentare, con la ricchezza di specialità gastronomiche che dipendono spesso da andamenti climatici che non ritroviamo più. Il vittimismo non serve: queste considerazioni devono essere uno stimolo a virare verso pratiche sostenibili nell’uso di acqua, aria ed energia. Paradossalmente la crisi economica può essere d’aiuto in questo, perché con la sua durezza e con la sua durata ha già inciso pesantemente sui nostri modelli di comportamento e di acquisto mostrando che anche le abitudini più consolidate possono cambiare. Auguri di un inverno freddo a tutti.
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