Cesena ha un'economia più vivace di Forlì. Ma mancano i soldi della Fondazione e un uomo come Pinza
Sul fatto che Forlì debba moltissimo alla Fondazione Carisp è una certezza. L’istituzione distribuisce al territorio circa dieci milioni di euro all’anno. Ma va oltre. Cerca di cambiare anche volto alla città. In questa direzione si inserisce lo sforzo per il San Domenico, per portare Eataly e ora di fare da regia per rilanciare l’aeroporto.
Va però detto che fino ad ora ha capitalizzato poco. Nel senso che il San Domenico fa da magnete e svolge bene il suo ruolo. Ma è più di una toccata e fuga. Solo in piccolissima parte i visitatori si fermano. È un po’ il problema che c’era stato in passato con l’aeroporto. Mentre a Bologna aumentano (grazie all’aeroporto) visite e pernottamenti, Forlì è sempre stato solo uno scalo. Un punto di passaggio. Quindi è questa la direzione sulla quale il cittadone dovrebbe muoversi.
Ma avercene di questi problemi. Certo, Cesena con dieci milioni all’anno in più potrebbe fare molte cose. Ma, almeno, servirebbe un Pinza.
È fuori di dubbio che l’ex onorevole è l’uomo forte di Forlì. Sia perché ha i soldi della Fondazione, ma anche per le sue capacità relazionali. Due fattori che mantengono inalterato il peso specifico che si è conquistato nella lunga carriera.
Cesena non ha un uomo così forte. C’era Davide Trevisani. Grande imprenditore, ma un pelo troppo esuberante. Pinza sa quando è il momento di tirare il freno, il cavaliere (Trevisani) meno. Soprattutto perché ha il problema che, spesso, affligge i migliori: chi è bravo è anche sicuro della bontà delle proprie idee e ritiene che gli altri capiranno e lo seguiranno. Non sempre è così e poi si rischia di andare a sbattere.
È un po’ quello che successe alla Cassa di Risparmio circa dieci anni fa, quando, di fatto, cominciarono i veri problemi di Cesena.
Allora attorno alla Cassa c’era un monolite. Per Denis Ugolini era una sorta di cappa. Sta di fatto che tutto ruotava alla banca che, nel periodo migliore, distribuiva oltre quattro milioni all’anno al territorio. L’uomo forte era Davide Trevisani. Ma cresceva anche Adriano Gentili, il direttore voluto proprio dal cavaliere. I due andavano d’accordo.
Poi ci fu la rottura, quando Trevisani fece l’affondo per vendere l’istituto di credito a Banca Intesa. Perse Trevisani, ma (al di là di chi fu lo sconfitto) perse la città. Perché diminuì di molto la capacità di fare sistema. E successe proprio nel momento più delicato: alla vigilia della grande crisi che ha travolto il mondo del credito, Cassa di Risparmio di Cesena compresa.
Ora, dopo quasi dieci anni, ci troviamo con la principale banca cittadina in grossa difficoltà, la fondazione con pochissimi margini di manovra e senza l’uomo in grado di mettere a sistema quella che resta una delle economie più vivaci della Regione.
Per la verità una persona in grado di svolgere il compito ci potrebbe anche essere: Renzo Piraccini. Ne riparlerò.
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