Pietro Secondo Carniti, che tutti chiamavano Pierre, è stata una delle poche persone che riusciva sempre a mettermi in soggezione. Un senso d’imbarazzo che proveniva, senza dubbio, dall’averlo sempre vissuto come la personificazione del Sindacato visto che, insieme a Lama e Benvenuto, anche quando – anni dopo – non erano più da tempo i “generali”, tutti continuavano a viverli come punti di riferimento.
Per trovarmi faccia faccia con Lui, nel suo ufficio da europarlamentare a Piazza Adriana (allora anche sede nazionale del Movimento dei Cristiano Sociali), nei quasi tre anni in cui ho lavorato al Gruppo alla Camera, ogni volta dovevo prepararmi e, comunque, ogni volta sentivo l’imbarazzo, appunto, di essere di fronte ad un mito.
…E penso di non esagerare perché Lui, come tutti i visionari, non solo sapeva guardare avanti, ma aveva il coraggio di rompere schemi ancestrali pur di arrivare a raggiungere i suoi sogni che, con la sua capacità di costruire squadre e di intessere relazioni, era in grado di far diventare sogni e realtà collettive.
Carniti le cose che si metteva in testa, aveva la capacità di trasformarle in realtà. Pensiamo a l’Unità Sindacale, alla FLM prima e alla Federazione Unitaria CGIL, CISL e UIL, poi. Solo un grande visionario coraggioso, in grado di tenere insieme un’idea di lungo periodo con quella immediata del brevissimo, infatti, avrebbe avuto il coraggio e la capacità di valorizzare e far crescere i fermenti del mondo cattolico – figli del Concilio Vaticano Secondo – e spostarli da una visione del mondo del lavoro conciliante ed ecumenica delle gerarchie (ecclesiali e cisline) per farle approdare ad una collocazione e prassi di lotta di classe all’interno di un Sindacato che rompesse con la tradizione dell’accordo ad ogni costo; delle buone relazioni industriali e del rapporto fiduciario col governo.
Con la caparbietà di chi si è fatto da solo, mentre – uscendo in mare aperto – metteva questi fermenti nuovi del cattolicesimo al servizio di un progetto di Unità Sindacale, riusciva a conquistarsi (almeno) la non belligeranza delle gerarchie (che non avevano mai visto di buon occhio lo sciopero e la lotta di classe) spiegando loro che il conflitto sociale è la molla del progresso economico in una società industriale dinamica e che l’impegno sociale deve porre al centro le esigenze fondamentali della persona umana, la sua uguaglianza.
Ci riesce, non solo perché la determinazione dei quegli operai di allora era più forte anche degli integralismi politici di chi si sentiva depositario (a prescindere) di una verità assoluta, dogmatica, di contenuto diverso ma di portata analoga a quelli religiosi ma, anche e soprattutto, perché la sua FIM genera “egemonia culturale”, lascia spazio all’inventiva delle persone, mette in moto intelligenze.
Attorno a “Dibattito Sindacale” la rivista che aveva fondato e dirigeva a Milano, raccoglie un folto gruppo di intellettuali: da Tiziano Treu a Bruno Manghi, Gian Primo Cella ma, anche Romano Prodi, Gino Giugno – solo per citarne alcuni – che producono idee e sostegno teorico alle rivendicazioni di quella giovane classe lavoratrice entrata in fabbrica con il boom economico.
Di questi lavoratori, Carniti recepisce tutta la loro insoddisfazione e volontà di cambiamento, si mette alla loro testa e favorisce a livello sindacale l’Unità che quei lavoratori già esprimevano a livello di “base” (si sarebbe detto allora). La spinta operaia mette in discussione vecchie procedure e metodi di direzione e di lotta. Dalle Sezioni Sindacali Aziendali, dalle Commissioni Interne si passa ai Consigli di Fabbrica che diventano rappresentanti di tutti i lavoratori (non più solo degli iscritti) che vengono eletti reparto per reparto, tra tutti gli aventi diritto – iscritti e non iscritti al Sindacato – ma non più su liste contrapposte, bensì su una scheda “BIANCA” dove ciascuno può esprimere liberamente la sua preferenza. Una RIVOLUZIONE che infrange l’egemonia delle “sigle” e delle segreterie di partito.
La FIM e poi la CISL di Carniti diventano il luogo dove si esprime una nuova generazione di dirigenti sindacali che provenienti dal mondo cattolico e non cattolico vivono il loro impegno senza sudditanze alla pretesa egemonia comunista sulla sinistra.
In un bel saggio, apparso su “patriaindipendente.it” la rivista telematica dell’ANPI, Giorgio Benvenuto nel suo ricordo di Carniti, riconosce che «Questo processo (di unità sindacale ndr) e le conquiste che ne derivarono si devono anche alla generosità ed al carisma di Pierre» ricorda anche la granitica coerenza e l’idea che ispirò il suo lavoro di segretario «Abbiamo considerato le diversità come una ricchezza, anziché un ostacolo, avendo lasciato indietro l’illusione che qualcuno o qualche ideologia possano monopolizzare la rappresentanza del lavoro».
Un pensiero che tornerà, anni dopo, quando qualcuno tentò di accollare alla CISL e a Carniti in particolare, la rottura dell’Unità Sindacale dopo i fatti del “decreto di San Valentino”.
Quella scelta di sostenere, non Craxi, ma il decreto sul taglio della Scala Mobile, era parte della sua elaborazione sul salario in cui «L’inflazione – affermava – era il nemico pubblico numero uno dei lavoratori» e che, quindi, la “contingenza” difende(va) (forse) i salari nominali ma non certamente gli interessi dei lavoratori.
«L’unità – diceva Carniti nel 1984 – è andata in crisi tutte le volte che il sindacato ha manifestato in concreto la sua volontà di essere attivo soggetto politico. Per un sindacato progressista e riformatore non esistono garanti, neppure a sinistra. Dentro il sindacato sono anche le ragioni della debolezza dell’unità. Nella sua incapacità a fare politica in proprio. È il sindacato invece che deve essere in prima persona forza di sinistra, progressista per natura e vocazione. Semmai la crisi del sindacato aggrava la conflittualità a sinistra… È il sindacato che deve fare autonomamente politica, altrimenti è subalterno o corporativo».
Mentre lui sognava un sindacato autonomo soggetto di trasformazione della società che contrapponesse all’individualismo e all’etica del “fatti i cazzi tuoi” la solidarietà e l’uguaglianza che non è sterile ugualitarismo ma valorizzazione e difesa delle diversità. Un sindacato che, seguendo il “paradosso del calabrone” che non sa di non essere stato “ideato” per il volo ma vola lo stesso, non usi soltanto la testa ma tenti l’impossibile, per realizzare il possibile.
Tutto questo allora non lo capii e, pur riconoscendo a Carniti l’onesta intellettuale, fui tra quelli che lo contestò. Non tanto, oggi come allora, sul merito ma nel metodo. Non riuscivo a digerire che proprio l’inventore dei “Consigli” avesse scelto una strada fuori dai percorsi di democrazia diretta e di rappresentanza dal basso. Non avevo capito, oggi posso riconoscerlo, che quei “Consigli di Fabbrica” lì erano, nel frattempo, diventati sterili e inconcludenti, chiusi in defatiganti discussioni bizantine e, soprattutto, erano ormai stati rifagocitati dalle logiche di appartenenza.
Il Carniti che è venuto dopo è quello che non si è mai stancato di stare dalla parte dei lavoratori e della “parte bassa della piramide sociale”. È il Carniti intellettuale che scrive libri sulle modifiche del lavoro e delle sue ricadute sociali ma è anche quello che si occupa della povertà in Italia e “propone come uscirne” ad un governo troppo intento ad “entrare nella moneta unica”.
È il Carniti che con Ermanno Gorrieri (ri)fonda il Movimento dei Cristiano-Sociali che sancisce che la sinistra politica, anche in Italia, non è fatta solo da quelli di cultura e tradizione marxista (anche se oggi “dopo il canto del gallo” molti hanno rinnegato e molti altri si apprestano a farlo) ma anche dai molti uomini liberi di tradizione cattolica (o di altre confessioni) che nel rispetto della laicità dello Stato si sono sempre battuti per l’uguaglianza, per il progresso della parte debole che significa progresso e benessere di tutta la società.
Mi accorgo solo ora che mi sono lasciato prendere la mano, violando uno dei dogmi di Carniti: «Parlate solo se avete cose fulminanti da dire” che il senatore Franco Chiusoli (ex dirigente di Confcooperative) ci ha ricordato nel suo post di saluto su FB, ma non posso chiudere senza ringraziarlo. Voglio farlo a mio modo, come sempre, anche perché (gli amici sanno che) non saprei fare altrimenti.
Ebbene, ora che Carniti non è più con noi, nel ringraziarlo di avermi dato la possibilità di incontrare persone come Gigi Borroni, Rino Caviglioli, Riccardo Della Rocca e tanti altri di cui sarebbe lungo fare l’elenco, voglio riprendere la frase di San Paolo con cui lasciò la CISL, al termine del suo mandato di “generale”.
«Ho combattuto la buona battaglia – affermò – ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede in quello straordinario fatto di solidarietà umana che è il sindacato».
Una buona battaglia combattuta con disciplina e onore, affetto e intelligenza, amore e dedizione tanto che sarei felice, parafrasando Santi, che di Lui si dicesse soltanto:
«Era uno dei nostri, di lui ci si poteva fidare».
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