È il vero tappo allo sviluppo del Paese. Nel bilancio dello Stato sono stati stanziati 150 miliardi per gli investimenti pubblici. Basterebbe farli partire. Non serve chiedere flessibilità all'Europa
Non capisco e non mi adeguo. Come tutti gli anni, in questo periodo il tema più dibattuto è la legge di Stabilità. Per me, che sono anziano, resta la finanziaria. Come sempre si stanno garantendo gli effetti speciali ed è partito l’assalto alla diligenza. Io credo che, in molti casi, ci saranno provvedimenti in buona parte con le coperture garantite da un giro conto. A partire dall’avvio del reddito di cittadinanza.
Onestamente non sono molto interessato dall’annuncite di Salvini e Di Maio. Quello che non capisco è il perché si tace su quello che è il vero problema del nostro paese: la burocrazia. È un tappo a tutti i livelli: dal Comune più piccolo allo Stato. Ed è forse l’unico settore dove si potrebbe andare oltre le ideologie. È qualcosa che va oltre alla destra e oltre alla sinistra.
Ma non se ne parla. Ma non solo. Sì dicono anche delle corbellerie. Come ha fatto Giorgetti (Lega nord), sottosegretario alla presidenza del Consiglio e considerato il miglior amministratore del Carroccio. Nei giorni scorsi, ha detto che per mettere in sicurezza il Paese si può anche sforare il tre per cento di deficit.
Essendo una politica keynesiana io dovrei essere entusiasta. La filosofia mi piace: investire nei lavori pubblici. Ma non condivido il ricorso al deficit. Anche perché Keynes non suggerisce di aprire il portafoglio a fisarmonica, ma di tenere sotto controllo i conti pubblici.
Ma, nel caso specifico, si stanno dicendo delle castronerie. È ampiamente dimostrato che non serve chiedete flessibilità all’Europa e nemmeno sono necessarie nuove risorse. Ma bisogna saper spendere e soprattutto poterlo fare. Nel bilancio dello Stato sono stati stanziati 150 miliardi (in 15 anni) per gli investimenti pubblici. Di questi (secondo il ministero dell’Economia), 118 miliardi sono immediatamente attivabili e già scontati nel deficit.
La richiesta di nuova flessibilità in ambito Europeo è dunque un falso problema.
Il vero problema sono le procedure complesse e capacità progettuale insufficiente che ne complicano l’utilizzo al punto da rendere biblici i tempi di realizzazione delle opere.
Emerge in modo molto chiaro dai dati forniti di recente dal ministero e dalla Ragioneria generale dello Stato e pubblicati da La Stampa nella sezione Economia. Servono due anni per opere di impatto minimo, dal valore di 100 mila euro. Mentre per interventi dal costo complessivo superiore ai 100 milioni, sono necessari almeno quindici anni.
Invece, pensate, quanti benefici ne avrebbe la nostra economia se fossero sbloccati cantieri per oltre cento miliardi di euro. Sarebbe un volano eccezionale. La vera spinta propulsiva dalla quale ripartire.
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