Fino al recente passato, come hanno in tanti hanno scritto e tra questi citiamo Aristarco e il suo libro “Che vigliacaz de rumagnôl spudé” (Il Ponte Vecchio, 2009), i nostri conterranei non erano visti di buon occhio, ma piuttosto come persone dedite al brigantaggio e al malaffare, insomma, gente in genere di cui non fidarsi.
Lo stesso Dante Alighieri, che in Romagna trovò rifugio e salvezza dopo aver ricevuto non una bensì due condanne a morte dai suoi concittadini fiorentini, nella Divina Commedia non dimostrò un gran riconoscenza verso i nostri antenati e suoi benefattori. Nessun romagnolo, a parte forse un santo, trova difatti posto in Paradiso: tutti i nostri conterranei sono condannati all’Inferno, qualcun altro, pochi per la verità, si trova in Purgatorio. E dire che come personaggi citati nel divin poema i romagnoli sono secondi solo ai toscani!
Mentre gli scrittori francesi prendevano come esempio di persona poco chiara, o meglio losca, l’italiano, i letterati italiani, spesso, si servivano della figura del romagnolo per rappresentare un individuo di dubbia moralità.
Scrive Aristarco nel suo libro precedentemente citato: «È nel Cinquecento che il volto della Romagna violenta si degrada all’estremo: essa diviene la provincia scellerata nella quale “ gli uomini sono comunemente disonesti , maligni et non conoscono l’onore”. Così scrive Giovanni Guiduccioni, il vescovo lucchese preseidente della Romagna, convinto che per tener appena a freno “questi cervelli diabolici e terribili bisogna sempre minacciar di cavezza e mannaie”: dai tiranni facinorosi e sanguinari (I signori del Trecento e Quattrocento, n.d.r.), ma pur sempre illuminati da una luce eroica, si giunge alla figura del romagnolo degradato a “delinquente”, “sicario”, “homicidiale”.
A questo fenomeno lo Stato della Chiesa non riuscì in alcun modo a porre rimedio. Dal Cinquecento al pieno dell’Ottocento si sviluppa così in Romagna il fenomeno del brigantaggio, di cui Stefano Pelloni (detto il Passatore, perché figlio di un traghettatore che prestava la sua opera sul fiume Lamone, a Boncellino) rappresenta il personaggio di maggior spicco.
Dopo aver prodotto addirittura un dittatore che tiranneggiò sulla Penisola per un ventennio e che condusse il Paese alla rovina della guerra, passando attraverso alla vergogna delle leggi razziali, la Romagna e i romagnoli svoltarono bruscamente e, lasciandosi alle spalle secoli di violenze e soprusi, immemori di aver dato alla storia alcuni tra i condottieri più feroci e spietati (tra cui Muzio Attendolo Sforza, Francesco II Ordelaffi, Sigismondo Pandolfo Malatesta e Giovanni dalle Bande Nere), per attirare il turismo di massa, si convertirono all’accoglienza e alle buone maniere.
Ed è così che, da fine anni Cinquanta ai giorni nostri, il romagnolo diventa nell’immaginario collettivo bagnino o ristoratore, intrattenitore o dj, nella migliore delle ipotesi motociclista di fama mondiale. In ogni caso il romagnolo, con la sua inconfondibile parlata, fatta di “s” moscie, frasi strascicate e spesso incomplete, espressioni coloritissime e originali, oggi gode un po’ ovunque, sia Italia sia all’estero, della simpatia generale. Dalle Alpi alla Sicilia, da Trieste al Salento, dal Veneto alla Sardegna, quando arriva il romagnolo, con il suo caratteristico intercalare, subito viene riconosciuto. Tuttavia per molti è facile scambiare per romagnole anche persone d’”oltre frontiera”, come ad esempio accade ai due Rossi nazionali, Vasco e Valentino, uno del nord, l’altro del sud, a dimostrazione che forse aveva ragione Dante Alighieri quando sosteneva che i confini della Romagna erano da porsi a nord “tra il Po e il monte e la marina e il Reno” e a sud al Montefeltro e alla Carpegna.
Sta di fatto che il sistema Romagna è stato copiato in molte altre parti del mondo e la gentilezza e la disponibilità dei suoi abitanti, specie se operatori nell’ambito turistico, è divenuta oramai proverbiale ovunque.
Un esempio su tutti: negli anni Cinquanta e Sessanta, a Cesenatico, grazie al grande impegno dell’imprenditore Giorgio Ghezzi, ex portiere dell’Inter e della nazionale, venivano a villeggiare personaggi del calibro di Walter Chiari, Gino Bramieri, Mino Reitano, Gianni Morandi, Johnny Dorelli, Mike Bongiorno e tanti altri personaggi del jet set. Sulle spiagge e nei locali di Rimini, Riccione, Cervia, Milano Marittima, Marina di Ravenna, solo per citare alcune tra le tante località della nostra Riviera, era possibile incrociare Ornella Vanoni, Gino Paoli, Luigi Tenco, Adriano Celentano, Mina o Loredana Bertè.
A Cesenatico misero le radici anche Dario Fo, futuro Premio Nobel per la Letteratura (gli venne attribuito il 9 ottobre 1997, pochi mesi dopo i fatti che andiamo a raccontare), e sua moglie Franca Rame. Comprarono una villetta a Sala, piccolo paese a pochi chilometri dal mare, dove ogni anno erano soliti trascorrere lunghi periodi di riposo e riflessione.
Accadde però che, nel maggio del 1997, un bagnino romagnolo (e qui tornano le origini brigantesche dei nostri conterranei) studiò di rapire la coppia per ottenere un riscatto, forse prendendo ad esempio quanto avvenuto ai meno fortunati Fabrizio De Andrè e Dori Ghezzi rapiti dall’Anonima Sequestri sarda nella loro tenuta in Gallura, il 27 agosto 1979.
Per ricordare i fatti che portarono allo sventato rapimento di Dario Fo e Franca Rame ci affidiamo a un articolo apparso sul quotidiano «La Repubblica» del 16 maggio 1997.
«”Potremmo organizzare il sequestro di Dario Fo e Franca Rame”. È una frase che ricorre in una conversazione registrata tra due malviventi di Rimini, uno dei quali ha deciso di collaborare con la giustizia, e immediatamente a Cesenatico, la cittadina della Riviera romagnola dove la popolare coppia di attori da molto tempo risiede per le vacanze e il relax, è partito l’allarme. I due che ne discutono al telefono sono rinviati a giudizio per altri reati: hanno tentato delle estorsioni, hanno dato fuoco allo studio di un noto avvocato, incendiato auto. Per questi reati uno dei due, V. R. (riportiamo solo le iniziali per motivi di privacy, n.d.r.), è in carcere. È un giovane di 32 anni, vive a Bellaria, alle porte di Rimini. Conosce le abitudini di Franca Rame e Dario Fo.
Sa che amano molto la loro villetta appartata nel verde, e sono fedeli da sempre agli stessi stabilimenti balnerari. A Cesenatico Dario Fo e Franca Rame sono molto di più che due ospiti eccellenti: la loro presenza è così familiare che il municipio ha attribuito loro la cittadinanza onoraria. Il sequestro, stando alle parole dei due malviventi, avrebbe dovuto avvenire proprio a Cesenatico. L’obiettivo sono i soldi e i gioielli. Dalla registrazione non si evince quanto il progetto sia concreto, e fino a che punto organizzato, o se invece non sia altro che un’intenzione accantonata. Certo, ce n’è abbastanza per far scattare l’allarme.
Gli inquirenti della Procura di Forlì, depositata due giorni fa la registrazione, avvertono i Carabinieri di Cesenatico, i quali accertano che nel periodo in cui la registrazione è stata raccolta, Dario Fo e Franca Rame non sono in Riviera. Raggiunto telefonicamente, Dario Fo riceve la sgradevole notizia da giornalisti e agenzie. E non gli fa certo piacere. “Mi sembra difficile che qualcuno fosse a conoscenza dei nostri movimenti perché Franca e io siamo imprevedibili nei nostri spostamenti. Notizie così – prosegue l’ attore – non fanno certo piacere. Ci è andata bene, comunque è proprio il caso di dire che non si può mai stare tranquilli”. Franca Rame intanto, cerca di saperne di più. Ma poco di più trapela dal riserbo della magistratura. I fatti sono questi. Un giovane di Bellaria, V. R., accusato d’aver incendiato lo studio di un noto avvocato, ha discusso con un suo complice, che ora ha deciso di collaborare con la giustizia, se tentare il sequestro di Dario Fo e Franca Rame, durante una delle loro frequenti permanenze a Cesenatico. La registrazione è stata inviata alla Procura di Forlì, mentre è partita la segnalazione per i Carabinieri di Cesenatico, che hanno immediatamente verificato che Dario Fo e Franca Rame in quel periodo non erano neppure a Cesenatico. Nella cittadina la notizia fa presto il giro di amici e conoscenti, che ne restano sgomenti».
In un’intervista rilasciata il giorno successivo al giornalista Osvaldo Guerrieri sulla Stampa di Torino, Dario Fo aggiungeva:
OG: Lei conosceva uno degli aspiranti rapitori?
DF: «Lo conosceva soprattutto Franca. Era il padrone del bagno in cui andiamo qualche volta… A me piace poco il mare».
OG: Che tipo è?
DF: «Un beu beu, avrebbe detto mio padre: un balordo che ha bidonato la persona che gli ha venduto il bagno. È l’uomo che ha distrutto lo studio di un avvocato, ritenendo che la parcella fosse troppo salata. Io l’ho visto poco, ma mi è subito sembrato poco civile. Una volta disse a Franca: che bell’anello ha, signora. E Franca d’istinto rispose: è falso. Ecco, il tipo è questo».
OG: Quando ha saputo che volevano rapirla, che cosa ha pensato?
DF: «Subito mi sono detto sono i soliti coglioncioni. Poi ci ho ripensato, soprattutto perché mi arrivavano informazioni precise. Dicevo: questi ti entrano in casa, ti puntano una pistola alla testa e non sai più quel che può succedere. Non mi spaventano le loro armi, mi spaventa l’idea del loro panico. Noi in casa non abbiamo né soldi né gioielli, mica siamo scemi. Questi, non trovando quel che cercavano, potevano cedere a una violenza rabbiosa. Oppure potevano essere disturbati dall’arrivo di qualcuno: colti dal panico potevano fare qualunque cosa. I delinquenti sono pericolosi. Ma i più pericolosi sono i delinquenti cretini che non dormono mai».
Molti furono i telegrammi di solidarietà che giunsero ai due attori e drammaturghi lombardi, tra questi quelli dei sindaci di Cervia, Conselice, Bagnacavallo e Casola Val Senio, che si trovano ancora oggi raccolti nell’archivio online di Franca Rame.
Sta di fatto che, per buona sorte, il rocambolesco rapimento fu sventato sul nascere e i malfattori furono assicurati alla giustizia. La celebre coppia del teatro italiano tornò così a trascorrere periodi di sereno riposo nella villetta di Sala, alle porte di Cesenatico, almeno fino al 2013, anno della scomparsa di Franca Rame, e all’ottobre del 2016, anno in cui anche Dario Fo, suo malgrado, lasciò con una risata la vita terrena.
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