È un tema che periodicamente torna alla ribalta, ma con argomenti che non condivido
Periodicamente torna d’attualità il tema dei contributi all’editoria, argomento caro soprattutto ai 5Stelle. Inevitabilmente il dibattito si accende anche sui social. Uno degli ultimi post che ho letto è di Natascia Guiduzzi, capa dei grillini cesenate, che, in sostanza, al Corriere Romagna contesta la linea politica, alla luce del fatto che prende i contributi pubblici.
Capisco le posizioni, ma non le condivido. Non perché le ritengo ideologiche, ma perché viziate da una mancata conoscenza approfondita di un mondo complicato come quello dell’editoria. Per cercare di fare chiarezza provo a dare la mia chiave di lettura che, ritengo, potrebbe essere un contributo al dibattito da parte chi questo mondo lo conosce abbastanza bene. Oltre ad aver fatto il giornalista professionista sono stato sindacalista ed editore (per oltre dieci anni sono stato nel cda di Cega, società cooperativa che edita il Corriere).
Per quanto riguarda i contributi va premesso che nel corso degli anni hanno subito una lunga serie di interventi legislativi che hanno abbassato continuamente la cifra stanziata. L’ultima riforma fra i fruitori ha cancellato i giornali di partito ed eliminato quasi completamente la contribuzione ai giornali nazionali. L’obiettivo è sostenere l’editoria locale fatta da cooperative. È una strada che ritengo sensata è cerco di spiegare il perché.
È sbagliato paragonare le aziende editoriali alle altre. Il prodotto giornale ha costi molto più alti per un motivo contingente: il personale innanzitutto. Ma incide molto anche la stampa che ha costi fissi piuttosto alti. Per questo motivo l’aspetto economico è legato alle economie di scala che per realtà locali sono impossibili. Come è impossibile, a causa di un mercato ristretto, arrivare a vendere le copie necessarie per raggiungere un risultato economico positivo.
Non supportare queste piccole realtà significherebbe restringere il mercato editoriale italiano ad un ristretto numero di grandi gruppi dando quindi un colpo molto forte al pluralismo dell’informazione che è l’altra faccia della libertà di stampa tutelata dall’articolo 21 della Costituzione.
Nello stesso tempo Natascia Guiduzzi contesta la linea editoriale del Corriere e la giudica non consona ad un giornale che prende i contributi dell’editoria. Siccome per venti anni sono stati il responsabile della redazione di Cesena provo a dare la mia chiave di lettura.
Innanzitutto va detto che la linea editoriale di un giornale è decisa dal direttore che sulla base del suo programma chiede la fiducia ai redattori. Al di là dei giornali politici (ormai non esistono più) l’obiettivo è aumentare la vendita di copie. Perché senza lilleri non si lallera. È vero che il Corriere prende i contributi, ma è nato con i soldi dei soci. Agli albori ognuno firmò una cambiale di sedici milioni di lire e, nel corso degli anni, gli stessi soci hanno fatto diverse ricapitalizzazioni (mettendoci soldi propri) triplicando l’impegno finanziario iniziale.
È chiaro quindi che è fondamentale aumentare le copie vendute e la pubblicità. L’alternativa è far saltare gli stipendi. Faccio un esempio: quando partì l’edizione di Cesena si decise di puntare sulla cronaca. Fu una scelta sbagliata. Le vendite non erano buone. Dopo sei mesi decidemmo di fare un prodotto diverso e il mercato ci premiò facendo registrare continui aumenti delle vendite.
Il che significa che il lettore cesenate gradiva quel prodotto. Anche quando prendeva posizioni che non sembravano nazionalpopolari come, ad esempio, sulla sosta. Secondo Natascia Guiduzzi il Corriere è filo governativo. È una versione che contesto. Premetto io ho una cultura di centrosinistra quindi è chiaro che questa abbia influenzato le mie scelte. Però a nessun collaboratore, anche a quelli di orientamento politico diverso, è mai stato imposto nulla. Sfido chiunque a smentirmi.
In secondo luogo il Corriere ha sempre avuto una sua visione della città e l’ha sempre evidenziata con forza. E si è sempre attento a quella. Ovviamente apprezzando chi faceva scelte su quella linea. Sempre per fare degli esempi, vorrei ricordare che il Corriere fu l’unico a criticare la scelta (soprattutto i tempi) di Paolo Lucchi di passare con Renzi. Oppure contestò la scelta di fare le primarie fra Lucchi e Elena Baredi.
Io credo, invece, che il giornale non avrebbe fatto un buon servizio se avesse censurato delle notizie. E, per quanto ne so, nulla è mai finito nel cestino. Vorrei ricordare, sempre per fare degli esempi, che fu dato ampio spazio (foto comprese) alla notizia del primo Vaffa, quello in cui si raccoglievano firme per l’abolizione dei contributi all’editoria. È chiaro che non potevamo essere d’accordo. E lo scrivemmo. Però cercando di rispettare una regola: separare i fatti dalle opinioni.
Ecco, quello è un passaggio fondamentale e, al quale ho sempre cercato di attenermi. È in quello, secondo me, che va valutato un giornalista.
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