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170° anniversario della Trafila Garibaldina nel Forlivese

"Nel 1848 un’ondata di grandi rivolte per la libertà e la democrazia attraversa l’Europa, interessando anche il territorio italiano. Intere città insorgono per sbarazzarsi delle tirannie e per acquistare la libertà. Nel 1849 Garibaldi fugge da Roma dopo il naufragare del sogno democratico della Repubblica Romana, repressa nel sangue.

Don Giovanni Verità

Nel 2011, in occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, il Club Alpino Italiano, Sezione di Forlì, pubblicò un agile volume,  ormai introvabile, dal titolo “Sentiero Garibaldi. Lungo la “Trafila Garibaldina” da Forlì a Modigliana” nel quale è contenuta la descrizione del percorso effettuato da Giuseppe Garibaldi e dal Maggiore Leggero durante le giornate dell’agosto 1849 quando si sottrassero alle ricerche dell’esercito austriaco. È altresì documentata la vicenda storica con documenti e scritti. Tutto il lavoro fu svolto da Giorgio Assirelli, allora presidente del sodalizio forlivese, a cui si devono anche i tracciati GPS, e da Orazio Moretti, socio del CAI, prematuramente scomparso. Proprio per onorare la memoria di Orazio, in occasione del 170° anniversario della Repubblica Romana, della morte di Anita Garibaldi e della Trafila Garibaldina, ho pensato di riproporre parte dei testi contenuti nella pubblicazione, che si apre con una presentazione proprio di Giorgio Assirelli, a nome del Club, dov’è scritto: “Nel 1848 un’ondata di grandi rivolte per la libertà e la democrazia attraversa l’Europa, interessando anche il territorio italiano. Intere città insorgono per sbarazzarsi delle tirannie e per acquistare la libertà. Nel 1849 Garibaldi fugge da Roma dopo il naufragare del sogno democratico della Repubblica Romana, repressa nel sangue.

Persa ormai ogni speranza Garibaldi decide di non arrendersi all’inevitabile destino e decide di muoversi, con un consistente numero di volontari (circa 4.000) in aiuto di Venezia, che ancora resiste all’assedio degli Austriaci. Garibaldi si muove attraverso l’Italia e il 31 luglio 1849 raggiunge San Marino dove, costretto dalle difficoltà e dalla pressione dell’esercito austriaco, scioglie il suo esercito ormai dimezzato. Non rinuncia però all’idea di soccorrere Venezia. Con 250 legionari scende a Cesenatico e si imbarca per raggiungere Venezia via Mare. Ma gli Austriaci non danno tregua e riescono a catturare quasi tutti i natanti. Garibaldi riesce a raggiungere la spiaggia di Magnavacca (Porto Garibaldi), scioglie il resto dei pochi fedeli compagni e rimane solo con Anita morente (morirà poco dopo a Mandriole) e il Maggiore Giovan Battista Culiolo, detto Leggero, anche lui ferito. Inizia così la “trafila”, una straordinaria associazione clandestina patriottica, che porta Garibaldi e Leggero in salvo attraverso le terre di Romagna fino al Granducato di Toscana e poi in Liguria. È su queste premesse, veniva specificato nella presentazione del 2011, che la Sezione di Forlì del Club Alpino Italiano, in occasione dei 150° Anniversario della Unità d’Italia, ha deciso di realizzare questa breve guida e di tracciare sul territorio il percorso fatto da Garibaldi nel territorio forlivese.

Giuseppe Garibaldi


Un “sentiero”, come nella tradizione del C.A.I., che permetta una visita ai luoghi dove passò o soggiornò l’Eroe dei Due Mondi, con il supporto di una guida che passo dopo passo illustri sia il percorso che le notizie storiche dei fatti. Il tracciato esatto del percorso non è purtroppo conosciuto con certezza in tutti i suoi punti. Diverse testimonianze dell’epoca danno differenti versioni, d’altronde i tempi moderni hanno modificato in modo sostanziale la geografia dei luoghi e determinato situazioni ormai non più percorribili. Il percorso indicato in questa guida tenta di ricalcare i luoghi dove è passalo Garibaldi ma deve arrendersi sia alle imprecisioni storiche che al mutamento dei luoghi. Molto è stato scritto dal 1849 su questa importante pagina della nostra storia. Non è lo scopo di questa guida fare una ricostruzione storica, bensì di dare uno spunto, una idea, per ripercorrere i luoghi della Trafila.

Una “rete” di patrioti, di uomini, popolani e nobili che avevano in mente una idea ben precisa di libertà ed uguaglianza. Con slancio generoso ed umano, sprezzanti del pericolo e degli sgherri papalini e austriaci, si passarono il “pacco” di casa in casa fino alla destinazione sicura fuori dalle terre di Romagna. Almeno 15 lapidi sono ancora li a testimoniare le varie tappe della fuga di Garibaldi nei comuni di Forlì, Castrocaro Terme e Terra del Sole, Dovadola, Predappio, Rocca San Casciano e Modigliana”.
Il C.A.I. di Forlì, conclude Giorgio Assirelli, ha teso il filo di Arianna per collegare i vari luoghi”.

L’Eroe dei Due Mondi


La pubblicazione riporta anche un’importante prefazione dello storico e docente dell’Università di Bologna, Roberto Balzani. Sotto il titolo “Un percorso leggendario”, l’ex sindaco di Forlì, scrive: “La parola “trafila”, per definire un viaggio “politico” attraverso le realtà romagnole nel corso del Risorgimento, la usa per la prima volta Massimo d’Azeglio, che nel settembre del 1845, salendo da Roma in direzione nord, tocca i principali luoghi delle Legazioni, portandovi l’idea della “cospirazione alla luce del sole”, cioè della pura propaganda d’idee in favore della nazione, da preferire alle insurrezioni inutili e sanguinose. A metà fra reporter e agitatore, Massimo d’Azeglio raccoglierà poi il frutto di quel passaggio in un opuscolo destinato ad un’enorme fortuna: Degli ultimi casi della Romagna, pubblicato nel 1846. La tesi dell’aristocratico piemontese è nota: i romagnoli hanno un carattere adatto alla lotta per l’indipendenza della patria, ma, fin dalla prima Restaurazione, hanno sbagliato pressoché tutto, esaurendo le proprie energie in vani tentativi di riformare lo Stato pontificio o, all’opposto, in atti rivoluzionari senza prospettiva. Che fare? Imparare la grammatica della nazione, e cioè abituarsi, da un lato, a costruire un programma fatto di idee e di obiettivi “italiani” e, dall’altro, all’esercizio delle armi.

Alcuni anni più tardi, prosegue Balzani, nel corso di un’altra, più famosa “trafila”, i romagnoli dimostrano di aver ben appreso la lezione. È la sera del 2 luglio 1849 e Giuseppe Garibaldi esce da Porta S. Giovanni, a Roma. I francesi hanno espugnato la città e la Repubblica romana è caduta. Ha con sé 4.000 uomini e 800 cavalli, Anita incinta e malata, e insomma ciò che è rimasto della milizia democratica. Lo braccano francesi e austriaci. Utilizzando con abilità le guide a cavallo, Garibaldi riesce a disorientare gl’inseguitori e a non essere mai localizzato. Quando, però, raggiunge le pendici del monte Titano, quasi un mese dopo, il piccolo esercito si è ridotto a circa 1.500 effettivi, male armati e ormai senza cavalli. Il cerchio degli austriaci si stringe: la piccola Repubblica tenta un’impossibile mediazione. Garibaldi, con 250 fedelissimi, decide un’azione disperata: arrivare all’Adriatico e, di là, spingersi verso Venezia, che ancora sembra resistere. Il 1° agosto, il gruppo scende lungo la valle dell’Uso: devono passare la via Emilia e puntare sulla costa. Ci riescono senza essere scoperti: una rete di patrioti, costruita all’istante, senza regia, senza un centro propulsore, sulla base di un passaparola immediato, dota Garibaldi di un mantello invisibile. Il Generale mette la propria vita nelle mani di un popolo di sconosciuti. Il 2 agosto, all’alba, su un piccolo convoglio di barche da pescatori, lascia Cesenatico. Intercettati da una squadra austriaca, sono costretti a prendere terra a Magnavacca: è il 3 agosto e Garibaldi deve tornare in Romagna. È Nino Bonnet – un fratello caduto sugli spalti di Roma -, che si preoccupa di portare il Generale, Anita ormai morente e il capitano Leggero, fuori dalle paludi. Gli altri hanno preso terra in vari punti; alcuni, catturati dagli austriaci, vengono fucilati. Il 4 Anita arriva a Mandriole, non lontano da Sant’Alberto, dove è finalmente visitata. Ma non c’è nulla da fare. Spira. Garibaldi e Leggero riprendono la fuga: il 6 sono al famoso Capanno, poco fuori Ravenna. Un ventennio più tardi sarà ricordato dai democratici locali come “la capanna di Betlemme”. Si scende verso la pineta in direzione sud, poi la trafila ravennate consegna i due scampati alla trafila forlivese. E qui l’uomo decisivo è uno strano sacerdote di Modigliana, allora nel Granducato di Toscana, figlio di un notaio di simpatie napoleoniche: don Giovanni Verità. È lui il personaggio chiave che, nell’ultima decade di agosto, novello San Cristoforo, consente al Generale e a Leggero dì varcare l’Appennino e di dirigersi verso la costa tirrenica, a Cala Martina. Lì, finalmente in salvo, i due prendono il mare il 2 settembre.


La trafila assomma in sé più aspetti straordinari: la natura mista (popolare e borghese) della compagine che aiuta il Generale; il piccolo tour romagnolo compiuto nel volgere di circa 20 giorni; il dramma romantico – Anita che muore, la fucilazione di Ciceruacchio, di Ugo Bassi, di Livraghi -: l’immediata aura leggendaria che circonda l’intera vicenda, tanto da dar vita a stazioni di un’autentica via Crucis laica, che sopravvivono ancor oggi. A Cesenatico, dove il Generale è ricordato tutti gli anni ai primi d’agosto, come un santo patrono laico. A Mandriole e a Ravenna, dove l’ultimo asilo di Anita e il Capanno rappresentano luoghi della memoria tutelati – è il caso del Capanno – addirittura da oltre 140 anni. A Modigliana, dove la casa di don Giovanni, la cui immagine si fonde con quella dì un altro pittore-patriota modiglianese illustre, Silvestro Lega, è insieme museo del Risorgimento e tappa della trafila.
Garibaldi, insomma, cuce lo spazio e connette in senso cooperativo il Risorgimento regionale conclude Balzani. Una traccia, la sua, che consente di trapiantare il disegno della nazione nel territorio della piccola patria. Un meccanismo precocissimo, già in funzione dopo l’Unità, che si perfeziona con i monumenti e una prima manutenzione dei luoghi intorno agli anni Ottanta dell’Ottocento. Da allora, cambiano le forme della politica, ma l’impronta lasciata dalla “grande fuga” resta”.


Anche a chi scrive fu chiesta una presentazione per il volume. Incentrai le mie riflessioni sulla necessità di “Mantenere viva la memoria”, fatto ancora oggi assolutamente necessario. Nel testo ricordo lo storico Lorenzo Bedeschi che, in un interessante saggio su “La trafila per il salvataggio di Garibaldi”, pubblicato nel secondo volume di “Romagna toscana”, evidenzia che molti patrioti per sfuggire all’arresto da parte della gendarmeria dello Stato Pontificio trovarono accoglienza presso la casa di Francesco e Giovanni Verità a Modigliana per essere poi guidati verso città toscane o verso porti da cui poter espatriare. Fra coloro che poterono usufruire della complicità della famiglia Verità vanno ricordati, fra gli altri, Luigi Carlo Farini, Felice Orsini, Pasquale e Saverio Muratori, Eugenio Valzania, Pietro Pietramellara, Livio Zambeccari. Di fatto Modigliana con Francesco e Giovanni Verità era diventata un punto di riferimento importante per la salvezza dei patrioti, dei cospiratori politici e dei proscritti. Passerà da questo paese gran parte della corrispondenza clandestina fra romagnoli e toscani. In sostanza era l’anello fondamentale di quella catena umana di soccorso e di trasmissione delle comunicazioni segrete che prese il nome di “Trafila”. Massimo D’Azeglio che si avvalse della “trafila” cosi ne scrive nei “Miei Ricordi”: “In ogni paese era un uomo fidato che formava uno degli anelli della catena, ed a questa catena era dato il nome trafila. Serviva a mandar nuove, precetti, direzioni, lettere e talvolta anche persone, gente costretta a fuggire. Tanto che era frase usata mandar questa o quest’altra cosa o persona per Trafila … Un solo anello della trafila che fosse stato traditore, rovinava un mondo di gente: ed è fatto notabile che mai e poi mai la polizia ha avuto il gusto di far conoscenza con uno di cotesti anelli della gran catena…”
La casa Verità, dunque, continua il mio scritto, era l’anima e il riferimento della “trafila”. Quando nel 1848 Francesco viene meno nulla si modifica a Modigliana in virtù dell’eredità da questi trasmessa al figlio. Ecco il non secondario motivo per cui, allorché la trafila riceve la consegna di salvare Garibaldi (l’equazione è “chi salva Garibaldi salva l’Italia”), all’appuntamento sul monte Trebbio, fra Dovadola e Modigliana, la notte del 21 agosto 1849 si troverà Don Giovanni Verità.

Una stampa d’epoca raffigurante gli ultimi istanti di Garibaldi


La storia, questa storia, inizia l’anno prima. Il 1848 è da considerare l’anno delle grandi rivoluzioni europee con ripercussioni all’interno dei vari piccoli Stati in cui era divisa l’Italia. Infatti, sulla spinta di una rivolta popolare negli Stati pontifici il Papa abbandonò Roma e si rifugiò a Gaeta, città sotto il dominio borbonico.
Il 9 febbraio dell’anno successivo venne proclamata la Repubblica Romana da parte di un governo provvisorio eletto a suffragio universale. Diedero il proprio apporto a questa straordinaria esperienza i più noti intellettuali e politici democratici; svolse un ruolo determinante Giuseppe Mazzini, mentre a Giuseppe Garibaldi fu affidato il compito di coordinare un esercito di volontari accorsi per difendere Roma che resse per quattro mesi l’assedio degli eserciti delle potenze europee prima di cedere alle truppe francesi. Giuseppe Garibaldi rifiutò di arrendersi. Lasciò la città con 4.000 uomini e si avviò a marce forzate per soccorrere Venezia che ancora resisteva all’assedio dell’esercito austriaco. Inseguito da cinque eserciti (francese, austriaco, papalino, borbonico e toscano), attraversate l’Umbria e le Marche, insieme ai suoi soldati, che nel frattempo si erano più che dimezzati, e alla moglie Anita, debilitata dalle fatiche delle marce estenuanti e dall’avanzato stato di gravidanza, Garibaldi raggiunse la Repubblica di San Marino. A San Marino sciolse la legione, non accettò salvacondotti e, braccato dagli austriaci, la sera del 1° agosto arrivò con un manipolo di volontari a Cesenatico. Ebbe così inizio, il 2 agosto 1849, uno degli episodi più belli e tragici del Risorgimento degli italiani. Per tredici giorni Garibaldi e i suoi verranno presi in consegna dalla rete clandestina dei patrioti repubblicani romagnoli per essere portati prima a Venezia, e poi, vista l’impossibilità di rompere l’accerchiamento austriaco, raggiungere la salvezza oltre l’Appennino. Dalle valli del Delta del fiume Po, alle balze di Modigliana, attraverso i territori del Ravennate e del forlivese, si snodò una lunga trafila di solidarietà e di resistenza, grazie alla quale poterono salvarsi almeno il Generale Garibaldi e il suo luogotenente Leggero.
I romagnoli, che numerosi avevano concorso alla nascita della Repubblica Romana ricoprirono diversi ruoli strategici (Aurelio Saffi fu Triunviro e Ministro degli Interni, mentre Giovita Lazzarini ricopri il ruolo di Ministro della Giustizia), non tradirono. È lo stesso Garibaldi in alcuni scritti a evidenziarlo. Nelle sue “Memorie” racconta: “Nessuno tra quelle popolazioni generose è capace di scendere alla delazione… La lunga dominazione del più perverso, del più corruttore dei governi non è stato capace di rammollire e depravare il carattere di quelle maschie popolazioni”.


E ancora: “I giovani, la maggior parte, era codesti coraggiosi romagnoli. Bisognava veder con che cura essi attendevano alla mia salvezza. Quando mi credevano in pericolo, in un punto, li vedevo giungere di notte con il biroccio… e trasportarmi a molte miglia di distanza in altre situazioni più sicure… i miei giovani protettori…”.
In una lettera inviata a Eugenio Valzania, il 3 agosto 1872, ricorderà che: “Sin dal principio di quest’ultima epopea italiana, dal ‘48 in qua voi ben sapete, che mi foste compagno in ogni impresa, quanto sia collegata la mia esistenza politica coi romagnoli. Da San Marino alle foci del Po non vi è un solo villaggio che non sia per me una reminescenza solenne d’affetto e di gratitudine… Il popolo di Bologna mi trasse fuori coi miei compagni dalle nevi dell’Appennino nel ‘48, quando i governi reazionari di codesto paese ci relegarono alle Filigari. Proscritto e perseguitato per boschi e monti, come un lupo, dovetti la mia ritirata da Roma dieci volte la vita ai coraggiosi figli di Comacchio, di Ravenna, di Forlì e della Romagna infine. Voi vedete non poter essere io indifferente a ciò che passa nei vostri paesi…”.
Concludevo il mio testo dando merito al CAI di Forlì di aver dato un contributo straordinario con la pubblicazione di “Sentiero Garibaldi”, a mantenere viva una delle storie più affascinanti che ha visto come protagonista la nostra terra. Con le iniziative in programma in questo mese di agosto si spera di dare un nuovo impulso alla conoscenza di queste vicende storiche che sono alla base della nostra Nazione. Nel corso dei prossimi giorni verranno pubblicati in quattro parti gli itinerari e le notizie storiche attinenti al percorso effettuato da Giuseppe Garibaldi e dal Maggiore Leggero da Forlì a Modigliana. 

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