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Il 170esimo anniversario della Trafila Garibaldina / secondo capitolo

La ricostruzione dell’itenerario percorso da Giuseppe Garibaldi e dal Maggiore Leggero, secondo la ricostruzione effettuata nel 2011 di Giorgio Assirelli e da Orazio Marchi per il volume “Sentiero Garibaldi”, edito dal Club Alpino Italiano, Sezione di Forlì, prende avvio nella notte tra il 14 ed il 15 agosto 1849 quando i fuggiaschi arrivano nei pressi del Cimitero Monumentale. 
Partiamo da questo luogo per iniziare il percorso verso Modigliana, sulle orme di Garibaldi in fuga.
Dal Cimitero Monumentale, ove è d’obbligo una visita alla tomba di Giovanni Maltoni, detto “Gnarata” (1° lotto, parte destra, I 49), si prende la via Ravegnana e la si percorre verso Forlì, fino al Foro Boario. Qui alla rotonda si gira su via Amerigo Vespucci, superando la rotonda con viale Cristoforo Colombo e approfittando delle vie pedonali e ciclabili dell’area dei Portici si raggiunge il viale Giacomo Matteotti all’altezza del viale Alessandro Manzoni. Lo si percorre verso piazzale della Vittoria. Sul viale, al numero civico 75, ove ora c’è un condominio bianco e piuttosto anonimo, che per l’altezza e per l’epoca di costruzione (anni Cinquanta del secolo scorso) i forlivesi più anziani chiamano “il primo grattacielo di Forlì”, c’era la casa Zattini Gori.


Il percorso lambisce piazzale della Vittoria e imbocca viale Filippo Corridonì, lungo quella che era la cinta muraria della città, fino al semaforo in prossimità della Rocca di Ravaldìno.
Si gira a destra su via Della Rocca dove poco dopo, alla seconda curva, sulla sinistra si vede l’ingresso secondario al carcere, prima dell’ingresso ai giardini della Rocca. Ora il percorso, raggiunto corso Diaz, gira a sinistra e attraversa il piazzale Ravaldino fino ad imboccare viale dell’Appennino.
Si percorre il viale verso Sud fino a superare l’ingresso al Parco Urbano “Franco Agosto”. Poco dopo si vede sulla destra un alto fabbricato dove un tempo era ubicato il mulino Tassinari e subito prima un passaggio fra le case che attraversa il canale e si ricollega con il Parco: siamo in via Bertarina. Passato il canale si prende a destra la seconda strada, via Friuli, e si raggiunge il sentiero che costeggia il fiume Rabbi e la grande area verde. Si percorre il sentiero verso destra (Nord), si supera la congiunzione del fiume Rabbi con il Montone, fino ad arrivare alla deviazione, sulla sinistra, che attraversa il fiume sul Guado Paradiso. Ora il percorso si svolge tutto sul lato sinistro (sinistra idrografica) del fiume Montone, fino a Terra del Sole. Attraverso un itinerario pedonale e ciclabile, a fondo naturale e ghiaiato, realizzato dal Comune di Forlì si arriva fino in via delle Vigne, in località Rovere. Qui si gira a sinistra e dopo un chilometro circa si raggiunge la chiesa di San Pietro in Arco in Villa Rovere. Dal luogo di culto si prende lo stradello sterrato a sinistra che la aggira sul davanti e si riguadagna l’argine. Lasciata a sinistra la deviazione che attraversa il fiume e porta a Ladino, si prosegue fino alla Chiusa che si supera attraverso una scalinata.
Ripreso lo stradello si perviene in poco tempo sotto al ponte dello stradone di Castrocaro e alla strada asfaltata (via Ladino). Si gira a destra e si arriva alla rotonda dell’incrocio con la via Firenze.
Siamo ormai a Terra del Sole e alla fine della prima tappa. Svoltato su via Firenze, verso Forlì, si arriva ben presto al bivio con la strada che porta a Monte Poggiolo. Imboccata via Angelo Masini e girando a destra sulla via Gioia si affronta la breve salita che porta al Palazzo Conti o del Diavolo.

Il percorso nella storia

Nella notte tra il 14 ed il 15 agosto Giuseppe Garibaldi con il Capitan “Leggero”, accompagnati dai patrioti ravennati, tra i quali Antonio Piazzi, arrivano in ritardo all’appuntamento concordato con gli uomini della trafila forlivese che li aspettavano nei pressi del Cimitero Monumentale di Forlì. Il ritardo è dovuto ad una rottura ad uno dei due biroccini nei dintorni di Coccolia ed al tempo impiegato nel fallito tentativo di porvi rimedio. A causa di questo ritardo, all’appuntamento non c’è più nessuno. Antonio Piazzi, rimasto da solo con i due ricercati li fa nascondere in un campo di granoturco presso la Chiesa dei Cappuccinini appena fuori le mura della città, e va in cerca di aiuto. La buona sorte lo soccorre. È appena scoppiato un incendio alla Locanda della Posta. Il Piazzi approfitta della confusione. Entra in città. La porta è ancora aperta causa l’incendio. Incontra finalmente Carlo Capaccini, l’uomo che ha fissato l’appuntamento presso il Cimitero ma che non può muoversi da casa dopo il calar del sole perché precettato. Capaccini allora fa rintracciare Pio Cicognani, reduce della Repubblica Romana. Nonostante la notizia delle fucilazioni appena eseguite di vari garibaldini catturati tra i quali Ciceruacchio, i suoi due giovanissimi figli e Don Stefano Ramorino, Cicognani trova in Tomaso Gori la persona che accetta di ospitare i due fuggiaschi nella propria casa per tutto il 15 agosto, anche allora giorno di festa.
Purtroppo oggi la casa non esiste più. Probabilmente sull’edificio era stata posta una lapide con questa scritta: DA INESORABILI IRE PERSEGUITATO / QUI RIFUGIÒ GIUSEPPE GARIBALDI / IL GIORNO 15 AGOSTO 1849.
Al suo posto in Viale Matteotti, 75, sul palazzone citato una lapide, con un linguaggio d’altri tempi, testimonia il luogo e l’evento: COME GLI ANTICHI LAMPADIFERI / RAVENNA TRASMISE A FORLÌ / CHE CON CURA GELOSA LA PROTESSE / LA NOTTE DEL XV AGOSTO MDCCCIL / NELLA CASA ZATTINI GORI SOSTITUITA DA QUESTO PALAZZO / LA ROSSA FIACCOLA DELLA LIBERTÀ / CHE EBBE NOME GIUSEPPE GARIBALDI / PER RICONSEGNARLA Al PRIMI VARCHI D’APPENNINO / A DON GIOVANNI VERITÀ / ED OLTRE I PASSI MONTANI / ALLE FUTURE FORTUNE D’ITALIA / Q.M.P. / XXI LUGLIO MCMLVII.
La costante tradizione, riportata dall’Abate Giovanni Mini, narra che, mentre la Cavalleria tedesca traeva al pozzo (esistente nel cortile della casa Zattini Gori, prospicente la camera, dove alloggiavano Garibaldi e Leggiero) ad abbeverare verso sera i cavalli, i profughi, dagli spiragli della persiana, li guardavano.
Garibaldi ricorda brevemente ma positivamente questo giorno a distanza di più di trent’anni: “Da Forlì, ove passammo una notte, ospitati in una casa di brava gente, seguimmo poi l’Appennino accompagnati da guide”. E una delle guide era considerata la migliore possibile: Giovanni Maltoni, detto “Gnarata, di professione “spallone”. In altre parole forse il miglior contrabbandiere tra lo Stato Pontificio ed il Granducato di Toscana. Conosceva ogni angolo possibile del territorio tra Forlì e Terra del Sole e soprattutto il confine di stato che allora correva dove adesso è il confine amministrativo tra i comuni di Forlì e Castrocaro.
La sera stessa del 15 agosto i due fuggiaschi devono lasciare Casa Zattini Gori per tentare di passare il confine e trovare un luogo più sicuro, individuato da Pio Cicognani nel Palazzo del Diavolo, o Palazzo Conti, che ancora fa bella mostra di sé sulla strada di Ciola che da Terra del Sole conduce al Castello di Monte Poggiolo. Non sappiamo con certezza il percorso seguito da Garibaldi quella notte. I testimoni oculari che avevano partecipato attivamente alla trafila in questo tratto di territorio ci raccontano due storie diverse, ambedue piene di dettagli molto convincenti. Sono concordi solo nel dirci che il trasferimento avvenne quella sera stessa e che il piccolo gruppo arrivò al Palazzo del Diavolo attorno alla mezzanotte.
L’abate Giovanni Mini scrive: “Nella notte dello stesso 15 agosto (mercoledì, ore 11 ½ circa) accompagnati i profughi dallo Zattini e dal Cicognani in una vettura chiusa, noleggiata dal vetturino Matteo Mandolesi, tenendo la strada di circonvallazione, conducente dalla Casa Gori alle porte di San Pietro e di Schiavonia della città, e sulla quale erano stati mandati in vedetta Giovanni Maltoni (Gnarata), Antonio Guardigli, detto Peritè, e Giovanni Lotti, detto Stanga, dopo di avere oltrepassato il Ponte di Schiavonia, presero la via regia per la nostra Romagna Toscana (Valle del Montone), che si dirama dalla postale Forlì-Faenza a mano sinistra, senza che la sbiraglia e le spie se ne avvedessero.
In nota, in calce alla pagina, aggiunge: “Questi particolari furono da noi stessi raccolti dalla viva voce del signor Pio Cicognani”. Poi prosegue nel racconto: “Giunti presso la Dogana pontificia della Rovere sostarono; discesero Garibaldi e una delle due guide (Cicognani) facendo continuare Leggiero coll’altra (Zattini) nella vettura. Al rumore della carrozza il finanziere di piantone uscì dalla caserma doganale; diede leva alla robusta ribalta, che teneva da una parte all’altra abbarrata fa Strada Regia; procedette alla consueta visita, e, ribassandola di poi, ordinò al vetturino di proseguire, e si ritirò nell’ufficio di guardia. Intanto Garibaldi e la sua guida, che a passo lento erano pervenuti all’imboccatura della strada, conducente alla Cosina, voltarono cautamente in essa; s’introdussero nell’aia del podere denominato la Palazzina dei signori Balducci presso la stessa dogana; attraversarono per poche pertiche il campo; ripresero la via dapprima interrotta, e, risalendo sulla vettura, continuarono il viaggio cogli altri fino alla campestre abitazione del Bassetti, il quale vivamente commosso e riverente li accolse col più fervido entusiasmo, proferendosi, fino d’allora di trattenerli presso di sé finché sarebbe a loro piaciuto a costo pure della vita. Garibaldi gli strinse ripetutamente la mano e in quel momento, all’orologio della vicina Terra del Sole suonava la mezzanotte e un quarto. I dodici rintocchi furono contati, sulla soglia della porta di casa, dallo stesso Garibaldi, come più volte ci ebbe narrato il Bassetti.”
Giovanni Mini, figlio di Francesco che era stato testimone oculare e protagonista dei fatti narrati, è al corrente dell’altra versione dei fatti, già pubblicata l’anno dopo la morte di Garibaldi.
“Dalle cose fin qui narrate chiaro apparisce inesatta la notizia riferita dal Giornale l’Unione Liberale di Forlì (2 giugno 1883, An. Il, N. 43), che i due profughi venissero condotti all’abitazione del Bassetti da Giovanni Maltoni (Gnarata), da Stanga e da Peritè, facendoli dalla casa Gori passare per la via di circonvallazione presso la Polveriera di Porta Ravaldino per sentieri remoti, attraverso i campi e guadare i fiumi Rabbi e Montone.”
Edoardo Ceccarelli preferisce la versione già esposta dall’Unione Liberale, ritenendo che “il buon Abate Giovanni Mini” sia stato ingannato da Pio Cicognani.
“…noi invece abbiamo ricostruito l’episodio della fuga sulla narrazione fatta, all’avv. Pio Poletti di Ravenna, da Giuseppe Savini, su quella di Giovanni Maltoni (Gnarata) detta al Prof. Giuseppe Mazzatinti di Forlì e su di un articolo di Fanny Manis pubblicato nella Rivista d’Italia, anno 1911, volume lII, pag. 862.”
Vediamo questo racconto convincente almeno quanto quello del Mini e molto, forse troppo, preciso nei tempi e nei luoghi: “Alle ore 21,30 circa, Garibaldi e Leggiero, salutati il Gori e alcuni amici che ivi alla spicciolata s’erano adunati per rivedere il grande Condottiero, partirono insieme con Tomaso Maltoni, detto “Masotti” merciaio e con Baccarini Giuseppe, cocchiere della famiglia Sassi. Passarono inosservati col biroccino a rete molto vicino agli austriaci accampati nella piazza del Nord (ora Piazzale della Vittoria). Per la via che costeggia il giuoco del pallone (Piazzetta Sferisterio tra Viale Corridoni e Via Porta Cotogni), giunsero ben presto di fronte al torrione della polveriera della Rocca di Ravaldino dove, puntualissimi, stavano ad attenderli Gnarata e Piriten. Avvenuta la consegna, Masotti e Baccarini tornarono indietro e i due “banditi” guidati da Gnarata e seguiti, a breve distanza, da Piriten, si misero in cammino per la strada maestra [Viale dell’Appennino] ora dirigendosi verso le Case Caiossi. Pochi metri prima del Mulino di Vincenzo Tassinari, Gnarata voltò a destra e, passato il piccolo ponte sul Canale di Ravaldino, fu nella stradicciuola a sinistra del canale stesso (Via Bertarina). Arrivato prestamente nelle vicinanze della casa del colono Calissen (la casa non esiste più ndr), ecco dal folto di una macchia di robinie accendersi una tenue bianca fiammella; poi un’altra; un’altra ancora! Il fido Stanga dava a Gnarata il segnale di “via libera”.


I profughi, discesi cautamente per la impervia e ripida scarpata, furono quasi subito sulla riva del Rabbi. Stanga, per primo, a piedi, attraversò il torrente, battendo con una lunga canna sui sassi sporgenti dall’acqua, sui quali Gnarata e Garibaldi, Piriten e Leggero, dovevano posare sicuri il piede. Il guado avvenne a pochi metri dal gorgo di Calissen, quasi alla confluenza del Rabbi col Montone.”
Gnarata ora aveva preso il comando della spedizione e, alcune ore prima della partenza da casa Gori, aveva dato alcune direttive affinché tutto procedesse nel migliore dei modi senza correre alcun rischio. Ad esempio aveva fatto avvertire l’amico Montanari, detto “Calissen” “di ritirare, dalla riva del fiume, i suoi cani pastori, messi a guardia delle pecore. […] Era prudente impedire che l’abbaiare dei cani potesse richiamare l’attenzione delle Guardie Ambulanti. La casa Montanari poteva considerarsi come la “testa di ponte” di tutte le operazioni di trafugamento compiute dai contrabbandieri.” Giovanni Maltoni lo sapeva ed era considerato il più esperto tra le tante persone che a Forlì vivevano di contrabbando. Guadato il Rabbi, senza essere stati avvistati dalle guardie, la narrazione del trafugamento, fatta dal Ceccarelli a distanza di 83 anni dal 1849, continua con uguale dovizia di particolari degni di una cronaca fatta il giorno stesso dell’accaduto: “Attraversato il Rabbi, la brigata s’internò piegando leggermente a sinistra, nel fittissimo albereto, che a quei tempi copriva l’arenile fra le “due bocche dei fiumi” […]. I fuggiaschi, disposti in fila indiana, preceduti da Stanga, che faceva come da avanguardia e seguiti da Piriten, retroguardia, passarono vicino alla casa detta dei “Sibarul” (guardiani delle selve ndr) per poi imboccare il viottolo “ad Rabac”. Da questa stradicciuola scesero nel sentiero ancora conosciuto col nome di “e bus ad Laden” (la fonda di Ladino), nascosto anche questo tra intricatissime querce e sterpaglie. Poco prima di arrivare al podere “Braga”, Gnarata effettuò il guado del Montone, portandosi con tutti i suoi compagni di viaggio alla sinistra sponda, sulla quale corre il sentiero dei “Fiumi morti”.
Varcato di poco il confine dello Stato pontificio, il fido Stanga emise un lieve sibilo. Era questo un segnale d’arresto. Ognuno dei componenti la comitiva si irrigidisce restando in ascolto. Gnarata si china. Accosta l’orecchio a terra. Poi si alza e sottovoce: “Nessun pericolo, dice. È una pattuglia di cavalleggeri austriaci, che da Villa Paulucci, al di la del fiume, percorrendo la strada di Ladino, s’avvia verso Vecchiazzano per il solito servizio di perlustrazione”.


Alcuni minuti ancora di immobilità e di silenzio. Stanga accende uno zolfino indicando con questo segnale “via libera”. Risponde in egual modo Gnarata. “Non vorrete mica tradirci?” disse il Generale. “Oh stia tranquillo” rispose Gnarata allo sconosciuto profugo “noi siamo povera gente, ma dei galantuomini; e poi questa non è la prima di simili imprese nostre. Si fidi di noi!”. E Garibaldi, che portava un cappello a larga tesa: “Qualunque cosa accada, cercate di salvarvi: non pensate a noi”. Così dicendo batté con fa mano la cintura, nella quale aveva infilate due pistole.”
È ormai mezzanotte. Le poche guardie ambulanti accasermate alla Faragana dormono tranquillamente. Il fittone in pietra arenaria, piantato nel campo di fronte al ponte, che segna il confine tra lo Stato Pontificio e quello Toscano, è stato dai fuggiaschi oltrepassato di circa 200 metri. Con un taglio netto, in linea retta dalla sinistra del Montone, la comitiva si avvia verso il colle dove sorge il Palazzo ospitale. A un quarto dopo la mezzanotte del 16 agosto 1849, Garibaldi e Leggero erano abbracciati, in territorio di Terra del Sole, dal patriota Luigi Bassetti.
Il “Sentiero Garibaldi” segue solo in parte il percorso descritto dal Ceccarelli. Non è stato sempre possibile tracciarlo esattamente dove si pensa siano effettivamente passati i fuggiaschi del ’49. Il territorio soprattutto nell’ultimo secolo ha subìto modificazioni tali che gli stessi protagonisti della Trafila o lo stesso Garibaldi non sarebbero più in grado di riconoscerlo. La lapide murata sulla facciata di levante del Palazzo Conti fra le finestre della camera in cui dormì il Generale ne è ancora testimone, anche se la data sembra essere sbagliata. Garibaldi vi giunse dopo mezzanotte e quindi il 16 agosto. Questo il testo: TERRA DEL SOLE 10 MARZO 1890 / I CITTADINI / RICORDANO CON ORGOGLIO / L’IMMORTALE / GIUSEPPE GARIBALDI / CHE / NEL 15 AGOSTO 1849 / PROFUGO DA ROMA STRENUAMENTE DIFESA / QUI RIPARAVA / SERBANDOSI ALLE FUTURE LOTTE / ED AL TRIONFO DEI MILLE.
I cronisti del tempo, in particolare Pellegrino Baccarini e Giuseppe Calletti, sempre attenti ed accurati nell’annotare gli avvenimenti anche più insignificanti della vita cittadina, non si accorsero del passaggio di Garibaldi a Forlì nell’agosto del 1849. Non menzionarono il soggiorno del Generale in Zattini Casa Gori, né il suo trafugamento da Forll a Terra del Sole. Nessuno dei tanti che seppero e vennero a contatto con i ricercati aprirono bocca. È quasi da non credere!


A conclusione del racconto del trafugamento da Forlì al Palazzo del Diavolo, il Ceccarelli scrive: “Qualche giorno dopo, nel mercato di Castrocaro, Anastasio Tassinari di Dovadola – altro affiliato alla “Giovane Italia”, che aveva egli pure cooperato per condurre in salvo il prode Generale – vedendo Gnarata gli disse: Garibaldi, da te guidato al Palazzo di Terra del Sole, è arrivato felicemente in Toscana per mezzo di Don Giovanni Verità”. “Non si dice” narra il Gnarata “lo stupore, la gioia che provai a tale rivelazione; e seppi allora che il compagno di Garibaldi che si trascinava a stento era Leggero”.
Giovanni Maltoni, che fu guida da Forlì a Terra del Sole del glorioso fuggiasco, venne comunemente chiamato: “Salvatore di Garibaldi”.  “Gnarata” pagherà con la prigione il suo coraggio, come attesta anche la lapide appena leggibile sulla sua tomba nel Cimitero Monumentale di Forlì (1° lotto, parte destra, I 49): AFFETTO E GRATITUDINE FIGLIALE / VOLLE QUI RIUNITI / GLI AVANZI MORTALI DEI GENITORI / ANGELA BENINI / MORTA A 67 ANNI IL 19 GENNAIO 1883 / GIOVANNI MALTONI / MORTO A 73 ANNI IL 9 AGOSTO 1883 IN FORLÌ / NELLA SUA SALDA GIOVINEZZA / LA NOTTE DEL 15 AGOSTO 1849 / ELUDENDO L’INSIDIA DEGLI SGHERRI PAPALI / CONDUSSE IN SALVO / DA FORLÌ A TERRA DEL SOLE / GIUSEPPE GARIBALDI / SCONTANDO POI COL CARCERE / IL PATRIOTTICO ARDIMENTO / I FIGLI / ANTONIO ADELE ORESTILDE LUClA / Q.M.P.

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