I giovani sono sempre più l'anello debole. Ecco perché
Entro il 2050 avremo un aumento di oltre 5 milioni di over 65 e una riduzione di circa 4 milioni di persone in età lavorativa. È lo scenario Istat più favorevole in termini di ipotesi su natalità e flussi migratori. La notizia è riportata oggi da “Il sole 24ore” che titola “Un piano decennale per salvare i 30enni italiani dall’irrilevanza”.
Il quotidiano economico però segnala che l’impatto più rilevante verrà in questo decennio. Citato un report del Laboratorio futuro dell’Istituto Toniolo, anche questo con un titolo significativo: “un buco nero nella forza lavoro italiana”. Denuncia che il nucleo della forza produttiva (quello attorno ai 40 anni) si indebolirà in Italia come mai in passato e più che negli altri grandi Paesi europei. In particolare, nel complesso dell’Unione i 30-34enni sono circa il 7% in meno rispetto agli attuali 40-44enni, in Italia il 30%.
Insomma: avremo sempre meno giovani e sarà sempre più difficile investire sulla loro formazione avanzata e sull’ allargamento delle opportunità di valorizzazione del loro capitale umano. Quelli più dinamici e preparati contribuiranno ad alimentare il motore dello sviluppo e dell’innovazione, ma tale motore sarà sempre più collocato oltre i nostri confini.
Secondo il quotidiano economico per scongiurare questo quadro serve urgentemente un piano strategico del Paese da realizzare nel corso di questi dieci anni che consenta all’attuale generazione dei trentenni di compensare la propria debolezza quantitativa con un forte potenziamento qualitativo. Nel frattempo va rafforzata la formazione delle generazioni precedenti. Per farsi un’idea della situazione in cui ci troviamo basti pensare a quanti giovani in Italia arrivano a trent’anni senza basi solide del proprio percorso professionale. Nella fascia tra i 30 e i 34 anni sono il 29% coloro che non stanno partecipando a nessun percorso formativo e non hanno una occupazione, contro il 17% in Europa. Uno dei pilastri dell’ infrastruttura del piano sono le politiche attive e in particolare un sistema davvero efficiente di servizi per l’impiego. Cose che Jobs act e reddito di cittadinanza hanno sempre lasciato in secondo piano.
In conclusione il rischio è che un gran numero degli attuali trentenni inattivi finisca nel mezzo di un guado: inclusi poco e male nel mondo del lavoro e senza più l’età per poter contare sull’aiuto dei genitori. Sarebbe una bomba sociale anche perché lo Stato avrebbe sempre meno risorse per affrontarla.
Per evitarla l’istituto Toniolo suggerisce di accompagnare la maggioranza di tali trentenni in un percorso virtuoso di reskilling, upskilling, ricerca attiva di lavoro e crescita professionale affiancata da formazione continua. Però per favorire quest’ultimo scenario serve un piano serio e credibile (non i navigator) con obiettivi chiari di breve e medio periodo e che sposti in attacco una generazione da troppo tempo tenuta in difesa o in panchina.
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