Referendum, Lucchi voterà No

L'ex sindaco deroga dall' intenzione di restare in silenzio sui temi della politica

Paolo Lucchi, da ex che aveva promesso di restare nell’ombra, (prima di tornare nell’ombra) spiega perché voterà NO al Referendum.

Paolo Lucchi

Nonostante da tempo abbia deciso di non intervenire pubblicamente su temi di politica (fedele alla regola aurea che gli ex di qualcosa è bene che restino tali, limitandosi a dire la propria nei contesti amicali, famigliari, di comune militanza), derogo una tantum a me stesso. 

Lo faccio perché il tema del Referendum sul quale saremo chiamati ad esprimerci il 20 e 21 settembre, è parte di un dibattito che sta coinvolgendo molti cittadini e certamente moltissimi militanti del PD che, come il sottoscritto, stanno subendo passivamente una posizione non chiara – e comunque non univoca – del nostro Partito nazionale. E, poiché le serate da cameriere alla Festa dell’Unità di Cesena mi hanno confermato la necessità di garantire invece chiarezza, almeno sulle posizioni personali, rendo pubblica la mia, pronto da subito a tornare a rispettare la “regola aurea degli ex”.

Premessa: la necessità di un taglio degli eletti in Parlamento è stata più volte sollevata in passato. La stessa va infatti incontro ad esigenze di riduzione dei costi della politica (delle quali il PD da molto tempo dovrebbe farsi carico, ma nell’ambito di una posizione non demagogica e capace di differenziare almeno il quasi volontariato del 95% degli amministratori locali coinvolti) e di maggiore efficienza delle istituzioni rappresentative. 

Si tratta di temi seri, che hanno un loro fondamento e dai quali una politica in grado di guardare ad un orizzonte temporale medio-lungo, non può sfuggire. Ma questo referendum costituzionale non entra per nulla nell’ambito del dibattito in corso da tanti anni; non prova ad attivare un pensiero lungo e neppure un pensiero complesso. Si limita invece ad una scorciatoia – il taglio lineare dei parlamentari -, non includendo una riforma che consenta, se è possibile, di sfruttare la riduzione per rendere il Parlamento più efficiente e rappresentativo.

Infatti, come tutte le scorciatoie, anche questa porta rapidamente ad un obiettivo – la riduzione dei costi -, ma senza incidere per nulla su temi complessi, quali le funzioni del Parlamento. E poi, come non rendersi conto che creare collegi più grandi aprirebbe la strada a campagne elettorali nelle quali la disponibilità di risorse economiche sarebbe determinante per il risultato, inibendo (annullando, in molti casi) il rapporto fra eletti ed elettori? 

La sintesi? La riforma porterebbe solo ad un indebolimento della democrazia e della rappresentanza dei territori, con l’unico risultato certo di portare i cittadini sempre più lontani dalla nostra massima espressione democratica, quella parlamentare.

Perché, invece, fingere di non vedere come la debolezza del Parlamento sia non tanto nel “numero” quanto nella “qualità” di chi lo compone? Il tema da affrontare è quindi la selezione di deputati e senatori, ben sapendo che la stessa non dovrà – nè potrà e questo è probabilmente un bene – più avvenire sulla base di percorsi codificati dalle “comunità Partito”. Ma che non potrà neppure essere imposta sulla base di poche decine di like, spesso addirittura raccolti in ambiti famigliari. 

Quanto ai millantati risparmi, sarà bene ricordare  (fonte “Osservatorio dei conti pubblici italiani” di Carlo Cottarelli) che gli stessi ammonterebbero a 57 milioni l’anno e 285 milioni a legislatura: lo 0,007 per cento della spesa pubblica italiana. Sicuri che valga la pena di mettere a rischio ulteriormente la credibilità delle nostre Istituzioni – soprattutto nella fase attuale, caratterizzata dalla gestione dell’emergenza Covid-19, da un percorso fragilissimo di rapporto con l’Unione europea e con il mondo finanziario, da un pericolo di assenza di lavoro per tanti, come mai lo ha vissuto la nostra generazione -, per risparmiare lo zerovirgola della spesa pubblica?

Per questa somma di ragioni – ma anche perché una vittoria del Sì riempirebbe di benzina il serbatoio dei diversi populismi che nessuno trova oggi la forza di combattere ripartendo dai valori che tengono assieme la nostra Democrazia – voterò convintamente NO ad un referendum che purtroppo interagisce con la “pancia” di tanti, dà forza a coloro i quali ritengono che la politica si faccia con la scimitarra e con i like, ma che è privo di una credibile e condivisa cornice di riforma di quelle istituzioni repubblicane, da cui dipende la tutela delle nostre libertà fondamentali.

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Davide Buratti

Davide Buratti, giornalista professionista, fondatore della Cooperativa Editoriale Giornali Associati che pubblica il Corriere Romagna, di cui dal 1994 e per 20 anni è stato responsabile della redazione di Cesena. Oggi in pensione scrive di politica, economia e attualità a 360 gradi nel suo blog per Romagna Post. Per contatti utilizzate il box commenti sotto gli articoli.