Simbolo che resiste al passare degli anni
CESENA. Passano gli anni, cambiano le abitudini, ma ci sono simboli che restano intatti. Uno di questi è il fischietto di zucchero, legato a filo doppio alla festa di San Giovanni. Un’accoppiata indissolubile a patto che sia rosso. Altre tinte non c’entrano nulla. Perché il rosso ha un significato preciso: è il colore della passione, dell’amore fisico, è il simbolo dell’eros, inteso come amore carnale e passionale. Quindi essendo destinato alla morosa è chiaro che giallo e verde c’entrano come i cavoli a merenda. La storia del fischietto di San Giovanni il 16 settembre del 2016 è stata ricostruita da Lelio Burgini, appassionato storico locale, su Cesena di una volta. Questo il testo.
Quello fra Cesena, il suo santo Patrono e il fischio di San Giovanni, è un legame che si perde nella notte dei tempi. La festa del nostro Patrono coincide con un importante momento del calendario solare, ossia i giorni del solstizio d’estate: un periodo dell’anno molto particolare (al pari del suo opposto, che è il Natale) in cui le giornate smettono di allungarsi, per ricominciare ad accorciarsi. Una notte quindi “fuori dal tempo” e per questo – sin dall’antichità – considerata magica e piena di paure da esorcizzare. Anticamente infatti, l’angoscia di rivedere accorciarsi le giornate e il conseguente, imminente ritorno della stagione fredda e della “morte” della natura, portavano a credere che entità nefaste e altri personaggi dell’aldilà, tornassero ad una dimensione terrena, portando caos e disagio nel mondo.
Un metodo per cacciare queste figure (forse il più antico conosciuto dall’uomo!) era il frastuono: fare rumore, con qualsiasi oggetto fosse a portata di mano.
Anche a Cesena, era ovviamente viva questa tradizione millenaria.
Le cronache del XVII° secolo, riportano come un vescovo cesenate, nel giorno di San Giovanni, fosse addirittura costretto a proibire tutti questi strepiti e rumori.
La guerra tra sacro e profano dura da 2000 anni e non si è mai arrestata! Tra gli strumenti rumorosi utilizzati smodatamente nel giorno del nostro Patrono, antichi cronisti scrissero di “fischi, trombe, campanacci e pive” e sarà proprio un fischietto a diventare il simbolo “pagano” della festa cesenate.
Anno 1935: il primo a raccontare questa storia, giunta oggi fino a noi, è quel Dino Fabbri (il mitico “ Filep” o “Cecino caldo”) di cui, più volte, abbiamo già parlato in questa pagina.
Fabbri, era un bambino di 8 anni, quando si recò a Forlì in treno, assieme alla madre, a ritirare i primi fischietti di zucchero rosso, a forma di galletto o piccola oca.
Ma per conto di chi fece questo primo viaggio, portando con sé i primi, preziosissimi fischietti?
Quest’idea fu di alcuni ambulanti dolciari, che già all’epoca si spostavano di fiera in fiera e che come i loro colleghi odierni, cercavano un modo per coniugare tradizione e business. Questi ambulanti erano i fratelli Vitali di Forlì, nipoti di Vincenzo Papi (originario anch’egli di Forlì) e che era proprietario di una piccola fonderia a Cesena.
Forti del legame col parente in grado di aiutarli creando per loro i primi stampini, li riempirono con l’ormai celebre zucchero rosso, dando vita al dolce fischietto, così amato dai bambini cesenati. Vincenzo preparò a mano quei primi stampini e diede loro la forma di una piccola oca (c’è chi dice che il toponimo della Valdoca possa aver influenzato la scelta) esattamente come noi – ancora oggi – lo conosciamo.
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