Il racconto di quei giorni fatto da Paolo Lucchi
CESENA. Il nevone del 2012. Un evento eccezionale che resterà nella memoria dei cesenati e che verrà tramandato alle future generazioni. Quel periodo però non sono solo i dodici giorni di nevicata. Di quel lasso di tempo questa la testimonianza di Paolo Lucchi, sindaco di di allora, che visse uno dei periodi più intensi della sua sindacatura.
Poche settimane fa un ragazzo, consegnando le pizze alle mie figlie e vedendomi con loro, mi ha apostrofato più o meno così: ”Sindaco, ma quanto ci siamo divertiti con il Nevone del ’12!”. E quando ho provato a specificargli che non sono più Sindaco e che, soprattutto, in quei giorni mi ero anche divertito poco, lui ha replicato secco: ”Valà, che nei 10 giorni a casa da scuola, in mezzo alla neve come se Cesena fosse la montagna, io mi sono proprio divertito e così anche tanti altri cesenati”.
Perché una cosa è certa: a 10 anni esatti da quell’eccezionale evento meteorologico, di quel periodo ognuno di noi ha un bagaglio (simile, forse a quello del 1929, l’àn dè nivòun di felliniana memoria) fatto di alcuni ricordi personali e di molta memoria collettiva, costruita su immagini, filmati, piccole leggende, goliardate.
Immagino invece già che la stessa leggerezza con la quale ci portiamo appresso quel bagaglio, non potrà ripresentarsi sulla pandemia ancora in corso costellata, purtroppo, anche da una quotidianità fatta di dolore e di morti.
Se dovessi provare a raccontare ciò che accadde tra il 31 gennaio 2012, quando iniziarono a cadere i primi fiocchi di una precipitazione ampliamente annunciata nella sua normalità ed il 14 febbraio, quando alla normalità ci tornammo effettivamente, ma solo dopo aver visto 1 metro di neve in pianura e 3 metri in collina, dovrei dividere quei giorni in 3 fasi: quelli difficili; quelli dell’orgoglio di comunità; quelli della speranza di normalità. Ed il libro “Il Nevone del ’12, racconto collettivo di come Cesena ha affrontato l’emergenza di febbraio e si è riscoperta comunità ai tempi di internet” (Edizioni Prima Pagina, distribuito ai cesenati in migliaia di copie, scritto a più mani con i giornalisti Davide Buratti, Emanuele Chesi, Antonio Farnè, Alessandro Mazza, Maicol Mercuriali, Francesco Zanotti, con le foto di Gimmi Zanotti e Luca Ravaglia e con l’impagabile coordinamento di Federica Bianchi) a questo scopo rappresenta un bell’aiuto.
I giorni difficili
Iniziarono il 31 gennaio. La Giunta di allora (Carlo Battistini, Simona Benedetti, Orazio Moretti, Maura Miserocchi, Lia Montalti, Matteo Marchi, Elena Baredi, Ivan Piraccini), ed io, proprio quella sera iniziammo il tradizionale tour nei quartieri per presentare il bilancio comunale. Eravamo a Borello e già a metà riunione notammo come le teste dei presenti non fossero più rivolte verso di noi, ma all’esterno. Tutti stavano infatti osservando una nevicata imponente, iniziata alle 22,00. Salendo in auto per tornare a casa, Maura ed io verificammo se il “Piano neve” (gestito da fuoriclasse come i dirigenti comunali Gualtiero Bernabini, Natalino Borghetti, il Segretario generale Manuela Mei) che avevamo già attivato dalla mattina, fosse in corso e loro ci risposero che si, i primi spazzaneve erano all’opera e che la mattina dopo avremmo sparso sale per le strade, come previsto. E noi ce ne andammo a letto tranquilli.
Fu alle prime luci dell’alba che tutti capimmo come le previsioni meteo avessero sottovalutato la portata di una nevicata che non sarebbe stata normale. Trovammo la pianura coperta da 10 centimetri di neve, la collina da 30/40, mentre la Prefettura chiuse E45 e Secante, quasi paralizzando il traffico cittadino e molte imprese furono costrette a chiudere. Naturalmente in quel momento sui social (quello era ancora il periodo del monopolio di facebook) partì il bombardamento di improperi, di suggerimenti cattivi, di “Sindaco svegliati” tipici delle nevicate normali, nelle quali ognuno ha giudizi e certezze assoluti. Ne fui travolto psicologicamente, arrabbiandomi molto. Ma poco dopo ad essere travolti dalla preoccupazione fummo tutti, quando iniziarono ad arrivare le segnalazioni delle prime famiglie isolate (alla fine ne contammo un centinaio, disseminate soprattutto tra Formignano, Tessello, Casalbono, Luzzena, Paderno, Roversano), che cercavano aiuto per la spesa, perché impossibilitate a muoversi da case sommerse dalla neve, di quelle senza neppure la luce. Lì, consapevoli che da soli non ce la saremmo cavata, decidemmo di fare due cose: di chiedere aiuto ai diversi livelli istituzionali (trovando impareggiabili partner nel Prefetto Angelo Trovato, nel Presidente della Regione Vasco Errani, nel capo della Protezione civile regionale Demetrio Egidi, in Guglielmo Russo, vice Presidente della Provincia e suo omologo per il nostro territorio) e di metterci in auto. E così (con un team di solito formato da Alberto Monti, alla guida della mitica Fiat Croma del Comune, da Tommaso Dionigi, il mago dei social e non solo, dal sottoscritto), dalla mattina a notte iniziammo a percorrere ogni angolo di Cesena per controllare quali effetti stesse causando la neve, quali interventi fossero necessari e scegliendo di informare i cesenati in presa diretta, attraverso fb, di ciò che vedevamo e delle scelte che stavamo facendo. E lì ci fu la svolta. Non solo perché in poco tempo la Protezione civile cesenate, coordinata da Gianni Gregorio, riuscì a raggiungere tutte le famiglie isolate, rassicurandole, fornendole di beni alimentari e di conforto, garantendo alle persone fragili ed ammalate la continuità dei servizi di assistenza socio-sanitaria e così tranquillizzandoci, ma anche perché i cesenati da “criticoni” si trasformarono in protagonisti attivi, segnalando i problemi da risolvere, ma anche mettendosi a disposizione. A colpirci collettivamente, in quei giorni ed a farci capire la gravità della situazione, furono tanti episodi, ma uno in particolare: il cedimento di una parte del tetto del Carisport, avvenuto il 5 febbraio.
I giorni dell’orgoglio (6/9 febbraio)
Da Cesena – spesso da una Piazza del Popolo trasformata in pista da sci e da slittino, da cui si elevava una montagna di neve accumulata che nessuno si sarebbe nemmeno mai potuto immaginare – si aprivano da giorni tutte le edizioni dei principali TG nazionali. Ero intervistato decine di volte al giorno e, all’inevitabile domanda: ”Cosa sta succedendo? Come va?”, iniziai a rispondere orgoglioso che gli aiuti giunti da fuori (i supporti alle locali strutture di Carabinieri, Guardia di Finanza, Polizia di Stato, Corpo Forestale dello stato, i vigili del fuoco di Belluno, Brescia, Bolzano, Modena, Milano, Parma, Piacenza, Pavia, Perugia, Reggio Emilia, Roma, Sondrio, Torino, per controllare la stabilità di tanti tetti pubblici e privati, l’Esercito con il 66^ Reggimento Trieste, il Genio Ferrovieri di Castel Maggiore, gli stupendi Alpini da Bergamo, Brescia, Parma, Varese e da altre 8 città) ci stavano facendo uscire dall’emergenza, ma che anche i cesenati si erano rimboccati le maniche, facendo la differenza. Imparai infatti in fretta che bastava lanciare un appello (prima timido, magari a pulire il marciapiede di fronte a casa, poi più convinto, a trovarsi per liberare strade, piazze, ingressi delle scuole, che avevamo chiuso quasi subito, a raccogliere generi di conforto per i senza fissa dimora, che stavamo cercando di coccolare un po’), per trovarsi circondati da decine e decine di volontari (giovanissimi ed anziani, universitari e scout, militanti politici, sindacali, del volontariato sportivo e sociale), con l’unico problema di riuscire ad organizzarli al meglio, fornendoli in ogni quartiere di pale, vanghe, scope. Fummo tutti travolti da questo spirito di comunità, che fece recuperare il sorriso a tanti ed isolò gli ormai pochi propagatori di sventura che, su fb, venivano regolarmente massacrati da chi, forte della propria partecipazione diretta alla gestione del Nevone, li metteva in riga a suon di: “ma smettila e vieni a lavorare con noi, piuttosto!”. E tornò in campo anche la goliardia, che raggiunse il suo apice con la battuta diffusissima che ricordava come “la neve caduta a Roma (obiettivamente poca, ma che mandò in tilt la capitale), noi romagnoli l’avremmo spalata con le infradito ai piedi”.
I giorni della speranza di normalità (10/14 febbraio)
Vivemmo quindi quasi per una settimana una normalità strana, che per me era caratterizzata da un‘unica certezza: la telefonata alle 5,00 alle donne ed agli uomini del Servizio neve del Comune per capire se nelle ultime ore vi fossero state novità; il primo messaggio delle 6,00 su fb, con il resoconto della notte. Per il resto, per ogni cesenate in quei giorni, mentre continuava a nevicare ininterrottamente e le temperature erano sempre bassissime, tutto era strano, eppure tutto era anche normale. Era strano vedere le ragazze ed i ragazzi (che stettero a casa da scuola per 10 giorni consecutivi), per le strade a tirarsi palle di neve ad ogni ora. Eppure era anche normale sentirsi dire dai genitori: “è bello così, facciamoglielo godere questo periodo straordinario”. Era strano vedere ancora lungo le nostre strade esercito, alpini, gatti delle nevi da alta montagna. Eppure era anche normale pensare quanto fosse rassicurante ed utile averli con noi. Era strano vivere senza alcuna polemica politica ed anzi con la disponibilità a fare assieme, manifestata da tutte le forze presenti in Consiglio comunale. Eppure era anche normale notare che non poteva che essere così, perché quando si è in emergenza non si appartiene ad un Partito, si appartiene, tutti, a Cesena.
La normalità vera
È quella che ti porta a fare la conta dei danni, delle risorse disponibili, delle tante cose rimandate per due settimane – tornò il 14 febbraio, quando per il secondo giorno consecutivo non nevicò: per i cesenati con una bella giornata di sole e con la riapertura totale di scuole ed imprese; per me con la richiesta da parte di Dagmer, mia moglie, di dedicarci almeno la cena di San Valentino, dopo che per tanti giorni ci eravamo visti quasi solo di sfuggita. Perché noi romagnoli siamo così: quando c’è da fare, si fa. Ma quando si smette di fare, di solito ci si mette attorno ad un tavolo per rilassarsi. Anche dopo un evento secolare come il Nevone del ’12.
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