Nel mirino l'obbligatorietà dell'azione penale
Il problema è mantenere il senso della misura e non fare saltare l’equilibrio dei poteri: da parte di tutti. Così oggi termine l’ opinione di Massimo Franco sul Corriere della Sera. Un corsivo dedicato ai problemi esplosi dopo l’iscrizione nel registro degli indagati di Giorgia Meloni e alcuni ministri. In precedenza ha sottolineato la virulenza della polemica e non esclude che questo possa servire anche a mettere in ombra il pasticcio del rimpatrio del capo dei poliziotti libici e il caso della Santanchè. Ma ha anche l’ impressione che questo caso serva per ritagliarsi un profilo più “berlusconiano”: di avanguardia della lotta di giudici accusati di faziosità. Ma anche, aggiungo io, a distrarre dai numeri dell’ economia che non sono proprio buoni.
Ma la vicenda si arricchisce di un nuovo elemento. Per un giallista potrebbe essere la pistola fumante. Protagonista è Lucio Malan, capogruppo al Senato di Fratelli d’Italia, e teatro il Tg1, principale house organ del governo. Nell’ edizione delle 13,30 di oggi nel pastone politico è stata inserita la proposta di Malan di togliere l’obbligatorietà dell’azione penale. All’ esponente meloniano non basta che la riforma Cartabia abbia cambiato un po’ la filosofia del principio dell’obbligatorietà: il pubblico ministero ora non è obbligato a esercitare l’azione quando giudica che non raggiungerà il risultato della condanna. In pratica si affossano le denunce (soprattutto anonime) palesemente assurde.
Però togliere l’obbligatorietà (è in Costituzione) significherebbe stravolgere il caposaldo della legge: la manifestazione del principio di uguaglianza che, nel processo, si declina nella parità di trattamento davanti alla legge. In pratica aprire un procedimento penale diventerebbe soggettivo. Sarebbe questa la vera riforma della giustizia. Un vero e proprio stravolgimento e una vera e propria mazzata alla democrazia.
Resta da capire come e perché Malan abbia fatto questa uscita. Trattandosi di un tema importante e delicato e conoscendo le dinamiche della politica è difficile immaginare che il senatore si sia mosso di propria iniziativa. L’impressione è che lo stato maggiore di Fdi abbia voluto lanciare un sasso nello stagno. E se, per farlo, si usa il capogruppo al Senato significa che non è solo un pizzino, ma si vuole mettere un cip.
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