Se le classifiche mondiali della libertà d’informazione inchiodano l’Italia in zona retrocessione un motivo ci sarà. Il panorama è fosco in buona parte del globo, intendiamoci. Ma solo in Italia forse si riesce a digerire con noncuranza una pagella da brivido. Le responsabilità dei giornalisti e delle aziende editoriali – in larga parte contigue ai poteri forti, politici ed economici che siano – sono note. Purtroppo però dalla società civile non si alza quel vento purificatore che altrove ci si potrebbe attendere. Colpisce in questo senso l’atteggiamento emerso da quel ribollire di aneliti e veleni che agita il nascente partito di Grillo. L’indisponibilità sospettosa che il Movimento 5 Stelle riversa sui mass media ricorda drammaticamente quella del primo leghismo, poi stemperata nell’orgia di ospitate televisive in puro stile spartitorio partitocratico. La bandiera della trasparenza si è incarnata nella diretta streaming dei consigli comunali (audience da monoscopio) mentre dal leader piovono scomuniche su chi si concede a incauti intervistatori e le assemblee tra gli iscritti vengono secretate e vietate alle telecamere. Nelle critiche sguaiate e rancorose dei ‘vecchi’ politici che temono la concorrenza barbarica dei nuovi ci si impunta sui concetti di democrazia interna (come se nei partiti ‘classici’ funzionasse diversamente…) ma si ignora quel difetto di riconoscimento del ruolo autonomo dell’informazione. Perché il sogno di un rapporto verticale e senza mediazione con l’elettore è da sempre una costante della politica italiana. Dalla tribuna televisiva a quella di internet.
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