Perché dal 1950 al 1980 non si sono vissute crisi finanziarie internazionali e negli ultimi trent’anni invece sono esplose a decine? Finalmente qualcuno si è posto la domanda, ha studiato il problema e dato una risposta. «Il migliore indicatore della crisi sono i grandi flussi di capitali stranieri. Le fondamenta delle crisi sono gettate da una corsa degli investitori stranieri seguita da una fuga altrettanto precipitosa». La tesi è di Paul Krugman, Nobel per l’economia del 2008, che sottolinea di non essere neppure il primo ad aver notato il rapporto fra la liberalizzazione dei movimenti di capitale e il moltiplicarsi di bolle e default. Il punto è: perché non si fa nulla per arrestare il colossale gioco d’azzardo che sta facendo saltare in aria intere nazioni?
Lo studioso americano propone che i governi intervengano per regolari i flussi di capitali. Ma egli stesso non appare convinto che ciò accadrà. D’altra parte la “turbo finanza” si è messa al riparo da possibili leggi nazionali, perché basta un click per spostare miliardi di euro in titoli da un luogo all’altro del pianeta. Ormai si è aperto il mitologico vaso di Pandora ed è complicatissimo bloccare questa deriva, solo un’improbabile intesa fra quasi tutti gli stati del mondo potrebbe invertire la tendenza.
Si può continuare a far finta di niente? No, perché è chiaro che la rovina di uno stato nazionale oggi rappresenta una succulenta speculazione per pochi spregiudicati. Ci riproveranno ancora. Una possibile via d’uscita è moltiplicare le tasse e i controlli sulle transazioni, facendo approvare le leggi restrittive nel maggior numero di Paesi, sulla spinta di proteste e movimenti popolari. Il classico granello di sabbia che blocca il perverso ingranaggio.
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