Deve adeguarsi alle reali esigenze
Quando si parla della Svizzera si è portati a pensare alle banche, al cioccolato o agli orologi. Forse però non tutti sanno che ricerca e innovazione sono la linfa vitale dell’economia elvetica. Non a caso il paese continua ad essere considerato uno dei più innovativi d’Europa. Secondo il recente European Innovation Scoreboard 2020 la Svizzera è in testa alla classifica grazie ai suoi interessanti sistemi di ricerca e di istruzione e agli investimenti delle imprese.
In Italia purtroppo siamo messi molto peggio. Ma non solo della Svizzera. Anche della maggior parte dei paesi europei. C’è uno studio (pubblicato su Huffingtonpost) che attesta che per portarci al livello della Francia, come frazione del PIL, occorrerebbe aumentare il finanziamento alla ricerca pubblica di circa 1 miliardo di euro ogni anno per cinque anni (0,7 per la ricerca di base e 0,3 per la ricerca applicata), passando dagli attuali nove miliardi l’anno a 14 miliardi. Se invece l’aumento fosse di 1,5 miliardi (1 miliardo per la ricerca di base e 0,5 per la ricerca applicata) potremmo raggiungere la Germania in sei anni.
La buona notizia è che il sistema della ricerca italiana sarebbe in grado di assorbire questi aumenti, opportunamente divisi in tre capitoli: progetti diffusi, grandi progetti, capitale umano. Lo studio però termina con un moto: l’adeguamento della ricerca italiana agli standard di finanziamento dei Paesi europei e di quelli avanzati a livello mondiale è un passaggio cruciale per la ripartenza del Paese.
Però il messaggio non passa a sufficienza. Non riscalda le piazze. Non porta voti. E quei sei/sette miliardi (in cinque anni) non sarebbero difficile da recuperare: basterebbe eliminare alcune “mance” e un po’ di quel debito cattivo citato da Draghi. Perché, sia chiaro, siamo all’ultima chiamata se adesso non investiamo nella ricerca non avremo futuro.
Serve però una presa d’atto da parte della politica. E questo vale anche per il livello locale. Anche perché il nostro territorio non è proprio all’avanguardia nella ricerca. E, di conseguenza, la produzione high tech è troppo bassa per poter competere nel mercato globale. Vale per l’industria, ma non solo. Anche per l’agroindustria è fondamentale l’innovazione del prodotto. Una necessità segnalata da più di dieci anni (come minimo), ma al quale la politica non pare mai essere stata troppo sensibile. Sono sempre state altre le priorità. Sempre le solite. Verrebbe da pensare che l’innovazione dovrebbe cominciare proprio dalla politica.
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