Per garantire redistribuzione e uguaglianza
di Gian Paolo Castagnoli
CESENA. Ogni volta che escono studi che denunciano la scandalosa disuguaglianza esistente nelle distribuzione della ricchezza, con i 9 miliardari più ricchi che possiedono ricchezze pari a circa metà della popolazione mondiale più povera, tutti o quasi tutti a indignarsi.
Però poi se parli di tassa di successione, patrimoniale o rimodulazione delle tasse per fare la tanto sbandierata ridistribuzione della ricchezza e seminare un po’ più di uguaglianza apriti cielo!
Ma la ridistribuzione e l’uguaglianza come le possiamo fare, se non così, cioè chiedendo a chi può permetterselo di contribuire di più al benessere collettivo?
La giustizia socio-economica passa da due strade. Per la ridistribuzione della ricchezza dai Paesi del cosiddetto primo mondo a quelli poveri basta semplicemente porre fine all’ignobile sfruttamento dei primi sui secondi.
Per sostenere i cittadini in difficoltà all’interno dei Paesi economicamente sviluppati (e non dimentichiamo che l’Italia lo è, eccome) il mezzo da usare è essenzialmente uno: la leva fiscale. Senza lasciarsi infinocchiare da chi racconta la favola che aumentando la ricchezza totale si aumenta automaticamente e per magia la ricchezza di tutti: i soldi finiscono sempre e solo nelle stesse tasche, più che mai in un mondo finanziarizzato dove il denaro crea altro denaro dentro un circolo ristretto e chiuso.
Andate a a raccontare ad altri la favoletta per cui se facciamo pagare meno tasse agli imprenditori poi danno spontaneamente soldi in più ai loro lavoratori oppure fanno assunzioni: la realtà è che quel surplus di ricchezza che le destre (ma anche certi cosiddetti moderati che hanno il mito del liberismo e del mercato deregolamentato e senza interventi della mano pubblica) vogliono regalare a chi sta già bene viene usato, nella maggior parte dei casi, per moltiplicare i loro tesoretto attraverso investimenti in prodotti finanziari oppure per incrementare i profitti attraverso innovazioni aziendali che tagliano posti di lavoro e quindi i costi di personale.
A tanti piace di più gridare solo a parole contro lo scandalo della disuguaglianza e delle sacche di povertà, ma poi seguire i pifferai magici che raccontano che è giusto introdurre una flat tax del 15% o del 23% per tutti quanti. E, come se non bastasse, si vogliono pure graziare gli evasori con quella che hanno la faccia tosta di chiamare pace fiscale e invece è solo un colpo di spugna potenzialmente da 81 miliardi di euro di crediti non riscossi dallo Stato: il bottino di furti seriali che milioni di persone fanno da sempre ai danni di tutti quanti, non pagando le tasse od omettendo altri versamenti dovuti.
Sarebbe bello che i cantori della flat tax spiegassero dove pensano di raccogliere poi i soldi per garantire servizi di qualità in settori fondamentali come la sanità e l’istruzione, realizzare opere pubbliche, pagare gli stipendi dei dipendenti pubblici, sostenere chi non ce la fa. Ma in fondo fanno bene a non spiegarlo se i cittadini non se lo chiedono e non glielo chiedono.
Abbiamo tutti bisogno di studiare di più, riflettere di più, discutere di più. Perché la democrazia, se vuole essere sana, non si esaurisce nel votare, ma richiede ai cittadini lo sforzo di informarsi e ragionare.
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