C’è un abuso del condizionale

Non deve essere un indicativo imbrigliato

Basta con il condizionale. Da quando la cronaca nera imperversa in tivù il verbo è sempre più usato. E’ quello che i linguisti chiamano “condizionale da dissociazione”. L’obiettivo è prendere le distanze da una notizia non verificata: avrebbe mentito suo alibi, ci sarebbe anche un complice. Obiettivo principale è evitare le querele. Una scorciatoia che lascia perplessi. Bisogna partire dal presupposto che il condizionale è un modo verbale della lingua italiana che si usa per indicare un evento che si verifica solo se prima è soddisfatta una determinata condizione: verrei volentieri da te, se non ci fosse lo sciopero dei mezzi pubblici;  mangerei, se ci fosse qualcosa di buono.

Invece si ha la sensazione che dietro ogni condizionale ci sia un indicativo imbrigliato, o malamente camuffato. Si lanciano congetture, illazioni, si riscopre l’inventario degli stereotipi inquisitoriali, si accusa e si spettegola, ma lo si fa dietro lo schermo gentile di tutti quegli avrebbe e di quei sarebbe, illudendosi così di far cosa civile.

Ma non si fa buon servizio al lettore usando termini come “sarebbe accaduto”, “avrebbe detto”, “non sarebbe vero che”. Il lettore però vuole fatti, non ipotesi confuse. La soluzione invece è semplice: citare la fonte. Ma non sempre è possibile farlo perché spesso bisogna tutelarla. Ma se questa è affidabile o la notizia è stata ampiamente e accuratamente verificata non si capisce per quale motivo si debba usare il condizionale che è brutto soprattutto perché sovente dà l’impressione di essere usato per non aver individuato o verificato  la fonte.

E’ però anche vera un’altra cosa: ci sono sempre meno le condizioni per fare quel tipo di giornalismo. Verificare fonti e notizie comporta un lavoro lungo. Cosa che è sempre più difficile da quando tagli indiscriminati hanno colpito le redazioni. Al crollo dei ricavi gli editori rispondono con la continua riduzione degli organici a discapito della qualità del prodotto. Si ha la sensazione di essere di fronte ad un cane che si morde la coda. Un problema che potrà essere risolto solo con un’adeguata legge dello Stato. Un provvedimento che sia consapevole che l’editoria è cultura e non va trattata come un’impresa tradizionale.

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Davide Buratti

Davide Buratti, giornalista professionista, fondatore della Cooperativa Editoriale Giornali Associati che pubblica il Corriere Romagna, di cui dal 1994 e per 20 anni è stato responsabile della redazione di Cesena. Oggi in pensione scrive di politica, economia e attualità a 360 gradi nel suo blog per Romagna Post. Per contatti utilizzate il box commenti sotto gli articoli. 

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