Lo sviluppo del sistema Romagna incontra più resistenze di quante ne potessero essere messe in preventivo. È chiaro, è stata imboccata una strada che non dovrà essere abbandonata. Farlo non sarebbe solo uno stop allo sviluppo, ma un passo indietro che avrebbe la strano e sgradevole retrogusto della recessione.
Nessuno chiede a nessuno di rinunciare a quel campanilismo (spesso sanguigno) che fa parte del Dna dei romagnoli. Assolutamente no. Quello deve rimanere. È utile anche per difendere le nostre tradizioni. Ma quando si sale di uno scalino allora è utile fare ragionamenti diversi. Anziché pensare al proprio giardino si deve ragionare su cosa fare per costruire un territorio competitivo che poi è, alla lunga, l’aspetto fondamentale per rafforzare il proprio giardino. E la strada da seguire, se si vuole competere in un mercato sempre più globalizzato, è quella di costruire un sistema Romagna. Tornare ai confini provinciali o, addirittura, comunali non è pensabile.
Invece noi siamo ancora il territorio dove, nello stesso periodo (ponte dei morti) e in due città confinanti (Cesena e Cesenatico) si organizzano due kermesse molto simili (“Cesena a Tavola” e “Il Pesce fa festa”) senza che ci sia un collegamento fra le due iniziative. Tutte e due invece potrebbero esistere in piena autonomia, ma se fossero studiate delle sinergie potrebbero far parte di un pacchetto unico che avrebbe potuto vantaggi a tutti.
Ma, a prescindere dal discorso sulle fiere, quello che emerge in modo chiaro è un rallentamento nella realizzazione di un sistema Romagna forte e integrato col territorio. Il problema sono le persone. A parole tutti sono concordi nel dire che la Romagna non può che essere l’ambito minimo per le aggregazioni delle nostre istituzioni.
Quando poi si tratta di passare dalle parole ai fatti cominciano a nascere degli ostacoli spesso legati a problemi più soggettivi che oggettivi. Del resto è chiaro che nelle aggregazioni, più o meno grandi, non c’è posto per tutti. Qualcuno deve fare un passo indietro. Il problema è che, spesso, si pensa che a farlo debba essere sempre qualcun altro.
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