1 Aprile 2025

I socialdemocratici non sono una specie in via di estinzione. Nei giorni scorsi, dopo che ho postato un pezzo che caldeggiava una politica keynesiana da parte di Renzi, Gian Paolo Castagnoli, amico e collega, mi ha inviato un sms ipotizzando che, per le nostre idee, io e lui potremmo essere da riserva indiana. Non sono d’accordo. Non perché non mi troverei bene in una riserva indiana. Anzi, con il passare degli anni cresce la mia visione zen e in ambiente “protetto” potrei aumentare questa predisposizione.
Non sono d’accordo perché ritengo che la socialdemocrazia non sia assolutamente superata. Anzi, nonostante la crescente visione 2.0, è di grande attualità. Purché sia rivista e corretta. Come, del resto, hanno fatto Tony Blair e, soprattutto, Gerhard Schröder, quello che ritengo essere stato il socialdemocratico più innovativo. Con le sue riforme, anche in campo fiscale, ha voltato la Germania come un calzino e l’ha fatta tornare la locomotiva europea. Riforme che però i tedeschi hanno faticato a digerire e gli sono costate la rielezione. Riforme che però avevano una visione socialdemocratica. Che alla fine hanno tutelato la classe media e quindi non hanno impoverito il paese. Cosa che, invece, sta succedendo in Italia.
Non è un caso se un recente rapporto dell’Ocse riporta che in Italia aumenta la forbice sociale, quella tra ricchi e poveri. Il rapporto, in sintesi, afferma: Nonostante un reddito medio disponibile corretto pro capite delle famiglie, pari a 24.724 dollari all’anno, sia superiore alla media Ocse (23.938 dollari l’anno), in Italia “c’è un notevole divario tra i più ricchi e i più poveri”, dice il rapporto. “Il 20% più ricco della popolazione”, si legge nel rapporto, “guadagna quasi sei volte di più del 20% più povero”.
Secondo i dettami della socialdemocrazia la strada non è quella giusta. La socialdemocrazia è un movimento politico e culturale in origine fondato su un’ideologia politica emersa tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX, che si propone di modificare il capitalismo in uno stato democratico stato sociale, senza eliminarne i presupposti, come la proprietà privata e il libero mercato, influenzata anche dell’economia keynesiana. Come forma di governo, indica anche una coalizione di partiti socialisti democratici in senso stretto, mentre come ideologia indica una democrazia con un avanzato stato sociale, che accetta però il capitalismo.
Una filosofia che ha alcuni punti fermi: un sistema di regolamentazione delle imprese private nell’interesse dei lavoratori, dei consumatori e delle aziende di piccole dimensioni;
un esteso sistema di sicurezza sociale, soprattutto per limitare le conseguenze della povertà e di proteggere i cittadini dalla perdita di potere di acquisto a causa della disoccupazione o delle malattie; programmi governativi in materia di educazione, salute e così via per tutti i cittadini; livelli moderati o elevati di tassazione al fine di sostenere la spesa pubblica. Sistema di tassazione progressivo; leggi in funzione della tutela dell’ambiente (sebbene non nella misura estrema sostenuta dai Verdi); posizioni progressiste in materia di immigrazione e multiculturalismo; posizioni secolari e progressiste, pur entro un ampio margine di variabilità; una politica estera a sostegno del multilateralismo e delle istituzioni internazionali.
Il rischio è quello di non riuscire a tenere sotto controllo e, quindi, di applicare una tassazione insostenibile. Cosa che non dovrebbe essere necessaria in presenza di una ricchezza diffusa. Più soldi nei portafogli significa più Pil e, quindi, maggiore gettito fiscale.
Un circolo virtuoso che può essere rotto solo dall’incapacità di tenere sotto controllo la spesa pubblica che ancora ha tantissime voci che possono essere aggredite a partire dagli investimenti improduttivi che, spesso, fanno rima con nepotismo. Una cosa, comunque, è certa. Non è un problema che si elimina o si affronta con i tagli lineari. Pensandoci bene la ricetta non dovrebbe essere difficile: basterebbe applicare al bilancio dello Stato i criteri del buon padre di famiglia o dell’imprenditore avveduto. Non c’è niente da inventare. Anzi, bisogna diffidare dagli illusionisti. Spesso, anzi, quasi sempre, dal cilindro non esce un coniglio, ma un topolino.

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2 thoughts on “Socialdemocrazia ancora attuale

  1. Pietro Caruso presidente dell'Associazione Stampa Forlivese e direttore della rivista nazionale Il Pensiero Mazziniano ha detto:

    Ha fatto bene il collega “storico” (dal 1989) Davide Buratti ha gettare un sasso nello stagno delle cose da dire sull’attualità ideale e politica. Sostanzialmente del suo ragionamento condivido quasi tutto, del resto quando ero giovane ero un socialista e vengo dalla tradizione paterna che il suo primo voto utile nel 1948 lo diede al Psli di Giuseppe Saragat…e viveva ancora a Catania poco prima di laurearsi in Economia e Commercio e venire a insegnare al “nord”. Devo però dire che la moderna socialdemocrazia del XXI secolo dovrebbe aggiornare il suo pensiero integrandolo con due nuove grandi categorie politiche e culturali: il federalismo, di tipo europeo nella direzione degli Stati Uniti d’Europa (proprio per ampliare su scala europea i benefici che socialdemocrazie e laburismo hanno creato) ed ecologismo (perché la riconversione ecologica delle fonti energetiche e la lotta decisa contro il cambiamento climatico sono aspetti di una nuova questione nazionale ed internazionale…ci sono molti migranti climatici…come dal Bangladesh che non riescono più a causa di immense inondazioni a praticare l’agricoltura nel loro Paese…e poi ci sono gli africani in fuga dal Sahel dove la temperatura media è di 44 gradi, contro i 40 del 1951. E del resto siamo in Romagna dove nacque il primo Partito Socialista Rivoluzionario di Romagna con Andrea Costa che lasciò le idee anarchiche e costituì il primo nucleo del Partito Socialista dei Lavoratori Italiani nato a Genova nel 1892. Tutta la tradizione precedente democratica e mazziniana e quella successiva operaia e comunista non può certo elidere l’apporto di idee e programmi di quella fase storica. Peccato che con Mussolini e il suo fascismo, la versione socialdemocratica sia stata rovinata dallo statalismo nazionalistico-dittatoriale facendoci perdere quegli appuntamenti di progresso che riuscirono a svilupparsi nel Nord-Europa con un’efficace industrializzazione e modernizzazione. Forse è anche per questo che in Italia la dialettica fra liberali e socialisti sia sempre stata tra forze tutto sommato minoritarie, mentre il confronto nel secondo dopoguerra è stato sempre privilegiato fra Dc e Pci. Si dià è acqua passata,…ma i ritardi nel fare diventare l’Italia un Paese a democrazia compiuta pesano molto e lo stesso fenomeno di Renzi che dichiara senza mezzi termini di ispirarsi alla terza via di Tony Blair corre il rischio, ma non è solo in questo, di essere in ritardo storico di una ventina d’anni. Del resto lo stesso D’Alema avrebbe potuto accelerare la trasformazione del Pci in un partito socaldemocratico…ma prima doveva passare dalla stazione Pds…quello con la Quercia, ma non ancora come primo simbolo la rosa del socialismo europeo. Poi si scelse la via dell’Ulivo…e ora si vogliono anche eliminare dal simbolo del Pd le due foglioline che ricordano l’avventura dei governi guidati d Romano Prodi. L’idea del Pd partito della nazione, però, lo dico da giornalista di cultura politica socialista-iberale e mazziniana non mi convince troppo. Non credo che in Italia possa funzionare il modello bipartitico nello stile degli Usa. Se mai, ma siamo come al solito in ritardo, dovremmo europeizzare i partiti e pensare che alle prossime elezioni europee sarebbe meglio avere un solo collegio unico europeo e non diviso su 28 Stati come ora.

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