Hong Kong – San Marino, solo andata

foto san marino 1zoomnet

I cinesi vogliono portare un po’ di soldi a San Marino e qui provare a fare affari. Lo staterello arroccato sul monte Titano, fondato dal Santo, fiero dei suoi valori cattolici e dove da decenni impera la Democrazia cristiana, ci pensa su. Da una parte, la maggioranza di governo che – assieme a qualche imprenditore e immobiliarista – appoggia in pieno il progetto industriale già presentato dalla società di Hong Kong “The Maxdo group limited” volto a crearsi sul Titano una banca d’affari e una sede tutta sua nel cuore dell’Europa; dall’altra l’opposizione politica e tanta società civile che si chiedono che cosa vogliano i cinesi da San Marino, dove la fiscalità sarà pure privilegiata ma non poi tanto di più rispetto alla vecchia Cina, e dove le operazioni finanziarie con l’Italia sono ad oggi bloccate.
Tant’è: l’interessamento del Maxdo group (che per alcuni è solo una società immobiliare, per altri un colosso quotato in Borsa) potrebbe passare inosservato se non fosse per un paio di aspetti per nulla trascurabili. L’Italia e l’Italia ancora. San Marino sta sudando sette camicie per farsi riconoscere dal Belpaese l’uscita dalla black list, ossia dalla lista nera dei paesi coi quali i partner commerciali italiani non possono fare affari senza prima averne informato a dovere il Fisco: al “risultato” tengono anche i territori limitrofi già fortemente colpiti dalla crisi economica i cui “figli” lavorano come frontalieri sul Titano. L’accordo fiscale tra i due Paesi, a Roma, è già stato firmato, ma l’Italia s’è “dimenticata” di ratificarlo. «Vediamo come andate con lo scambio di informazioni per stanare i furbetti delle tasse», han detto prima. «Iter lungo», hanno aggiunto poi. «Crisi di governo e altre urgenze a cui pensare», han terminato dalla capitale. San Marino invece, come un fidanzato non desiderato, ha ratificato in pochissime ore quel benedetto accordo e ora attende sull’uscio che l’amata gli faccia l’occhiolino. Ma che ne direbbe l’amata del “tradimento” coi cinesi?

Sì, perché non è che Italia e Cina siamo proprio amiche. E non solo per quella manodopera a basso costo e la pratica del lavoro nero che sta facendo avanzare sempre di più l’industria made in Pechino anche nel Belpaese: no. A mettersi di mezzo è anche la malavita cinese e il riciclaggio di denaro sporco, tanto che l’ultima relazione della Direzione nazionale antimafia vi ha dedicato un intero capitolo. Guarda caso, nel capitolo, trova spazio anche San Marino. “Merito” di una vecchia inchiesta, vecchia di almeno 5 anni, che portò gli inquirenti italiani direttamente sul Titano dove, secondo le prime ricostruzioni, sarebbero passati parte di un gruzzolo da ben 4 miliardi e mezzo di euro con la modalità criminale del Money to money. A San Marino, per questo, è in corso una rogatoria.

Ora, nel timore italiano che i cinesi, subito oltre confine, possano crearsi un ufficio per raccogliere investimenti da poi trasferire al paese natìo, come devono comportarsi i cugini sammarinesi di fronte all’ultima proposta del gruppo societario di Hong Kong che al momento tutte le verifiche in corso hanno dato come affidabile?

Il governo sammarinese giura che informerà l’Italia dell’interessamento del Maxdo group e che, a livello informale, qualcosa s’è già mosso e che nessun campanello d’allarme sia stato suonato oltre confine. L’opposizione non ci crede: si chiede come mai la notizia dell’inchiesta sul riciclaggio cinese sia tornata in auge proprio adesso, quasi a voler paventare un segnale indiretto alla politica sammarinese da parte di mamma Italia.

D’altronde, basta analizzare: Roma e l’Europa permetterebbero senza storcere il naso l’apertura di una banca d’affari cinese, proprio nel porto franco sammarinese? Ma foss’anche non avesse il bene placet italiano, San Marino potrebbe andare avanti nell’operazione infischiandone di chi accontenta e chi no? Cosa vi guadagnerebbe?

Secondo la prima bozza di progetto, il Maxdo group vorrebbe garantire un primo investimento da 100 milioni, tra strutture e nuova occupazione. Ma non è questo il vero calcolo da fare: quanto andrebbe ogni anno a Banca centrale dalla nascita di una nuova banca? Ben l’8% della raccolta annuale del nuovo istituto: questo come fondo anti rischi. Una percentuale alta, che in Europa, prima fissata all’1%, è oggi sparita per permettere all’intero sistema l’aumento di liquidità. Ipotizzando dunque una raccolta da 2 miliardi l’anno, il sistema sammarinese con l’aiuto cinese ne entrerebbe di oltre 150 milioni l’anno: eccola dunque la ricetta alla carenza di liquidità di cui soffre il Titano da almeno 24 mesi. Sarà come vendere l’amicizia italiana al miglior offerente?

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Patrizia Cupo

Patrizia Cupo, 33 anni e mamma-bis. Giornalista professionista dal 2008, dopo qualche fortunosa esperienza in giro per l'Italia tra radio, agenzie e giornali locali, ha scoperto la repubblica del Titano affascinata dalle sue contraddizioni. Spasmodico amore per la cronaca giudiziaria, in tribunale si sente a casa sua (finché qualcuno non le porterà le arance).