Nessuno di noi è indenne dall’aver sperimentato sulla propria pelle o nei propri pensieri gli effetti della crisi economica. Molti sono coinvolti direttamente o con amici e familiari in licenziamenti e cassa integrazione, altri seguono le difficoltà che investono le imprese in questi frangenti ed altri fanno i conti su come questa realtà oggettiva modifica gli stili e le abitudini di vita.
Il parametro preso a riferimento è la perdita di “lavoro” nei suoi numeri assoluti rispetto al passato ed il dibattito che ne segue è ad esso relativo per l’individuazione di politiche, azioni, e promesse per il futuro prossimo o remoto.
A me pare però che manchi una riflessione più precisa sul meccanismo base dell’economia di mercato che è la “creazione di valore” per i soci, per gli azionisti, per i lavoratori e per tutti i cittadini che beneficiano in un dato territorio di un’impresa cooperativa e non, di un’amministrazione pubblica o di una società partecipata da essa.
Non vorrei che il ragionamento sul lavoro fosse fatto a prescindere da questo, come in un passato, anche recente nel quale in alcune regioni si sono trasformati migliaia di lavoratori socialmente utili in forestali senza neppure monitorare se successivamente gli incendi boschivi aumentavano o diminuivano.
Il nostro Paese, ma soprattutto i suoi abitanti, insegue spesso scorciatoie che evitano di fare i conti con la realtà. Si seguono mode, si dettano parole d’ordine monche o distorsive in attesa che passi la buriana sperando che poi tutto torni come prima.
Senza creazione di valore non ci sarà lavoro e senza una corretta rendicontazione di quello che facciamo nel nostro lavoro non ci sarà mai la possibilità di capire se stiamo generando valore.
Rendicontare è difficile e spesso antipatico nei confronti di chi gode di rendite di posizione dovute all’età o al ruolo, ma è l’unica via per sapere cosa fare e cosa cambiare per non rassegnarsi ad un futuro peggiore.
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