

“Con viva preoccupazione”(1) è il titolo dell’enciclica – datata 14 marzo 1937 – che papa Pio XI (al secolo Achille Ambrogio Damiano Ratti) scrisse «ai venerabili fratelli patriarchi, primati, arcivescovi, vescovi e agli altri ordinari aventi con l’apostolica sede pace e comunione Sulla situazione della Chiesa nel Reich germanico». La lettera di papa Ratti, (anche se, come sembra, sia stata “materialmente” redatta dal futuro papa Pio XII (Eugenio Pacelli), allora Segretario di Stato) è la prima e, almeno per il momento, l’ultima resa pubblica in una lingua diversa dal latino proprio a segnalare, come recita il titolo che letteralmente in tedesco è “bruciante”, la straordinaria precarietà della situazione dei cattolici nella Germania nazista rei di aver combattuto culto della razza e dello stato dichiarando «…folle il tentativo di imprigionare nei limiti di un solo popolo, nella ristrettezza etnica di una sola razza, Dio, Creatore del mondo, re e legislatore dei popoli, davanti alla cui grandezza le nazioni sono piccole come gocce in un catino d’acqua».
Una enciclica scritta in tedesco, anche e soprattutto, per facilitarne la diffusione in mezzo al popolo di Dio residente in Germania dove fu letta – su indicazione della Santa Sede – in tutte le chiese il 21 marzo, giorno della Domenica delle Palme con il chiaro intento, come scrive papa Ratti nel testo: «In questa ora, in cui la loro fede viene provata, come vero oro, nel fuoco della tribolazione e della persecuzione, insidiosa o aperta, ed essi sono accerchiati da mille forme di organizzata compressione della libertà religiosa, in cui l’impossibilità di aver informazioni, conformi a verità, e di difendersi con mezzi normali, molto li opprime, hanno un doppio diritto ad una parola di verità e d’incoraggiamento morale da parte di Colui, al cui primo predecessore il Salvatore diresse quella parola densa di significato: «Io ho pregato per te, affinché la tua debolezza non vacilli, e tu a tua volta corrobora i tuoi fratelli».
Al di la, quindi, del “precedente” dall’alto valore simbolico oltre che, ovviamente, formale e storico, da “catto-comunista infiltrato in parrocchia” quale sono da oltre 45 anni, non trovo alcunché di scandaloso nella presa di posizione(2) del vescovo Livio Corazza e del Consiglio Pastorale Diocesano di scrivere una lettera ai fedeli – che sarà letta oggi (20 gennaio 2019) in tutte le chiese di Forlì – perché «…non vengano meno nel testimoniare e nell’educare a riconoscere il Signore Gesù presente in ogni fratello, soprattutto nei più deboli; nel vigilare perché ogni persona sia salvaguardata nei suoi diritti e responsabilizzata riguardo ai doveri; nel promuovere un’accoglienza generosa e prudente che punti allo sviluppo della persona nella sua totalità; nel curare relazioni costruttive e di prossimità vera con tutti».
Non saprei dire se io sia un cattolico “osservante, praticante e convintamente credente” come qualche forlivese “fascistone in sagrestia” va millantando da giorni su tutti i media locali che gli danno un po’ di spazio. Vorrei, e prego lo Spirito Santo che me lo conceda, di essere almeno un pochino cristiano e fedele all’insegnamento del Maestro. Quello che so per certo, invece, è che i “pastori” non possono (e non debbono) esimersi dal loro compito apostolico di indirizzo della comunità e di richiamo fraterno al rispetto del comandamento dell’amore.
Un amore che non è da intendersi come assuefazione all’esistente bensì, come c’insegnano il Maestro e la Dottrina della Chiesa, denuncia del male ovunque esso si manifesti e qualunque sia la forma che – di volta in volta – assume. “Candidi come colombe e vigili come serpenti” è questo l’invito che il Maestro rivolge ai suoi discepoli e lo spirito con cui debbono svolgere “Ciascuno” il proprio ministero di evangelizzazione ricordandosi sempre di richiamare “l’errante” alla fraterna correzione, dapprima nel silenzio e riservatamente e, solo in caso di pervicace recidiva, denunciare pubblicamente e ad alta voce “l’errore”. Delle altre, poche, certezze che ho v’è quella di una fede incrollabile nella nostra Carta Costituzionale – richiamata anche nella lettera di Sua Eccellenza Corazza – definita dal Consiglio Pastorale di Forlì: «fondamento della nostra convivenza civile libera e responsabile – per cui – disattenderla significa metterebbe in pericolo il futuro della nostra Italia». Quella stessa Carta Costituzionale che consente a chiunque – anche ai “fascistoni in sagrestia”, conculcatori della libertà e condannati al silenzio dalla storia – di esprimere liberamente, qualora ne abbiano uno – il proprio pensiero.
P.S. Una precisazione e un aneddoto a vantaggio e cura dell’ignoranza. Con la definizione di “comunistello di sagrestia” il cardinale Alfredo Ottaviani, che si definiva “carabiniere dell’ortodossia”, il 25 gennaio 1959, sul giornale “Il Quotidiano” di Roma, prendeva di petto alcuni politici democristiani favorevoli all’ipotesi di governo con i socialisti. È, quindi, quantomeno fuori luogo se non proprio palesemente una bufala, riferire e accomunare l’allocuzione di S. E. Ottaviani al termine “cattocomunista” che, invece, era riferita ai componenti della Sinistra Cristiana tra cui Franco Rodano, Felice Balbo, Tonino Tatò, Giglia Tedesco, Luciano Barca e Adriano Ossicini.
L’aneddoto fu riferito dall’ex presidente centrale della FUCI e intellettuale impegnato da non violento nel movimento pacifista, Enrico Peyretti, in una lettera(3) all’arcivescovo di Torino, Cesare Nosiglia, pubblicata sul sito “peacelink.it”, il 26 dicembre 2010. Nella lettera al presule, Peyretti racconta che: «Verso il 1962-1963, il cardinale Montini (che mi conosceva personalmente per i miei anni precedenti nella Fuci) passava dei periodi nel seminario Lombardo, per i lavori delle commissioni conciliari. Un giorno, dopo pranzo, in piedi nel corridoio, con riferimento alla famosa battuta (del card. Ottaviani?) sui “comunistelli di sacrestia”, Montini disse a me e ad altri: «Ci saranno dei comunistelli di sacrestia, ma certamente ci sono dei fascistoni di sacrestia!».
(1) link all’enciclica nel sito del vaticano
(2) link alla lettera del Consiglio Pastorale
(3) link alla lettera di Enrico Peyretti
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