Cesenati in viaggio
Torna “Cesenati in viaggio”, rubrica di Jacopo Rinaldini. Questa volta non parla di un luogo, ma delle donne albanesi.
Nelle pupille, nerissime, delle donne albanesi è impresso uno scintillio magnetico, quasi violento.
Esse sono l’emanazione dell’anima che rende viva la terra su cui, da milioni di anni, sorge il sole dei Balcani, che ha una luce particolare e rende ogni filo d’erba su cui brilla eterno.
Bambine adulte e adulte bambine: nello sguardo della loro infanzia c’è una maturità forte, decisa, recondita e non del tutto consapevole.
Possono consigliare ai genitori, a quattro anni, ciò che è oggettivamente giusto. Alzano un ditino e tutto tace intorno, perché hanno visioni larghe, vedono oltre, al di là della perfezione. S’affidano all’errore, padre dell’esperienza e dopo un primo inciampo non cadono più, per sempre.
I sacrifici e una condizione di privazione hanno cesellato il loro volto e il fare che le accompagnerà per tutta la vita: questo “labor limae” è un dono prezioso che il destino ha riservato alle spose e alle madri, poiché le rende regine d’un focolare mai spento che urla silenzioso e crepita tra risate e singhiozzi. E’ la vita.
Hanno mani morbide che possono stringere i lembi della coperta dell’esistenza e tirarla a sé; palmi in grado di deviare il corso del fiume Drin con la stessa semplicità con cui si dà uno scappellotto al figlio vivace.
Tra le palpebre hanno i colori delle stagioni e quando son liete intonano un canto fanciullo, che echeggia tra gli ulivi e culla gli uomini stremati dal lavoro.
Si annientano, se lo vogliono, per la famiglia amata. E’ questa la grande ricchezza che riempie le esistenze di queste donne dalle vesti colorate, sorelle dell’uva che matura sotto al sole.
Tempra d’antiche guerriere come Teuta, la quale voltò le spalle a Roma e combatté le legioni dell’Urbe alla testa d’un manipolo di pirati.
Al nord si vestono tuttora di nero talune, perché la tradizione vuole che venga tenuta viva la dimensione del lutto in cui è precipitata la zona di Mirdita dopo la morte dell’eroe nazionale Gjergj Kastrioti Skënderbeu. Un dolore che si portano dentro da 500 anni.
Bisogna abbandonarsi alla tradizione di questo popolo per capire fino in fondo quanto possa essere tenace anche nelle emozioni. Ci si deve fare assorbire dal panismo che sopravvive nelle campagne per cogliere i frutti che sanno donare le donne con le ali dell’aquila. E’ il cuore la porta, la fantasia la via.
Si muovono in un mare di luce che non conosce requie. Onde potenti, altissime, s’infrangono sulla schiena che mai si piega se non quando lo decidono loro. Possono scegliere la via della libertà, allorché lo scelgono.
Non temono la morte, ché sarebbe peggio, secondo loro, vivere una vita in cui si muore poco a poco.
Vanno amate con infinita dolcezza: sono lacrime di bambine quelle che scorrono sulle loro guance color del melograno.
Non si può dire di conoscere l’Albania se non si avverte la magia del suo controverso sale della terra: la componente umana.
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