Lasciare che un campione di cittadini, scelto per sorteggio, influenzi la politica ambientale di un Paese nel senso di una transizione verso un modello che contrasti i cambiamenti climatici.
Ha fatto molto discutere l’iniziativa presa da Emmanuel Macron di scremare 150 francesi – individuati secondo un campione statistico, rappresentativo della società transalpina – che dopo nove mesi di lavoro in cui hanno ascoltato imprenditori, ambientalisti ed esperti vari, hanno formulato 143 proposte al governo francese.
Macron ne ha scartate 3: il prelievo del 4% dai dividendi societari per destinarlo a fini ecologici, l’abbassamento del limite di velocità da 130 a 110 all’ora in autostrada e l’inserimento delle priorità ambientali nel preambolo della Costituzione. L’ipotesi di introdure il reato di ecocidio sarebbe invece sottoposta a referendum.
Più che il contenuto delle proposte, alcune delle quali abbastanza scontate come il taglio alle emissioni di gas serra, emergono un paio di elementi interessanti. Il primo è il metodo: un sistema “deliberativo” che parte dal basso e che è criticato soprattutto da coloro che ritengono necessario l’intervento di “tecnici” ed “esperti” per affrontare argomenti così complessi. Come si comporterà ora il governo francese? Quanto di queste proposte diventeranno leggi o buone pratiche? I prossimi mesi saranno decisivi per capire se l’esperimento avrà avuto seguito o resterà un esercizio di stile.
Ma c’è un ultimo aspetto di rilievo. Una buona parte delle proposte fatte dal gruppo dei 150 (che si sono poi riuniti in associazione, cosa non prevista all’inizio) sono sostenute da anni dalla comunità scientifica internazionale. In sostanza, provengono da studiosi, dunque da esperti. Che a loro volta, non sono stati presi in considerazione. I comuni cittadini arriveranno dove non sono riusciti i ”tecnici”?
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