Itinerari per il dopo pandemia. Ottava tappa
Continuo a proporre itinerari per il dopo pandemia, che generalmente si possono effettuare nell’arco di una mezza giornata, mentre leggo che una buona parte degli italiani sta affittando appartamenti nelle località balneari, o comunque si sta attrezzando per le ferie estive esprimendo con questo una fiducia nel futuro. Ciò non toglie che anche le località che di volta in volta ho descritto e le poche altre che prenderò ancora in considerazione avranno un incremento di visitatori. Infatti la tendenza che coinvolge un numero crescente di persone è quella di andare alla scoperta del territorio privilegiando luoghi isolati ma di grande fascino per le architetture presenti, per il paesaggio incontaminato e gli aspetti naturalistici che si possono ammirare. Era in parte così già prima dell’allarme sanitario e le modificazioni degli stili di vita dettate dal coronavirus hanno incrementato il fenomeno. Quindi quale posto ci può essere meglio di Sant’Ellero di Galeata da scegliere per svagarsi per poche ore o per un giorno intero? È in cima a un colle, che può essere comodamente raggiunto in automobile. oppure, con un po’ di dispendio di energie, si può salire da Galeata per un’antica mulattiera un tempo utilizzata dai pellegrini che percorrendo l’antica via “Romipeta” (via dei Romei)si recavano a Roma, lungo la quale si trovano quattordici pregevoli cellette ad edicola (tutte restaurate nel 1998), costruite nella metà del XIX secolo da alcune famiglie di Galeata, in cui sono inseriti i quadretti della Via Crucis in ceramica policroma.
Quasi sulla sommità della collina, attorniato da un bosco di pini e di cipressi, si trova l’Abbazia di Sant’Ellero, un monumento di grande rilevanza storico-artistica del territorio romagnolo, uno dei più antichi monasteri del mondo occidentale, fondamentale centro religioso e di cultura medievale. Sarebbero sufficienti queste poche indicazioni per non avere dubbi sull’opportunità di organizzare un’escursione sul posto, ma se occorrono ulteriori elementi si può partire dal V secolo quando il municipio romano di Menaviola venne abbandonato per lasciare spazio ad altre entità in grado di catalizzare insediamenti e di svolgere un ruolo primario nella gestione del territorio; un territorio che doveva prepararsi a una consistente militarizzazione da un lato, e a una profonda cristianizzazione dall’altro. È in questo contesto che emerge la figura di Hilarius, meglio noto come Ellero di Galeata, la cui opera di cristianizzazione e attrazione spirituale condizionò la storia dell’Appennino e ne orientò in modo significativo le vicende”.
Ellero nacque nel 476 in Tuscia. Ancora giovanissimo decise di darsi alla vita solitaria, abbandonò la propria abitazione e si inoltrò sull’Appennino, scese verso l’Emilia e scelse per propria dimora, dietro indicazione di un angelo come racconta la leggenda, un monte della valle del Bidente a circa un miglio dal fiume. In quel luogo in tre anni costruì una cappella dove pregare e, sotto di essa, una spelonca dove alloggiare, procurandosi il vitto col proprio lavoro. A vent’anni passò dalla vita eremitica a quella cenobitica: infatti un nobile ravennate, Olibrio, pagano e posseduto dal demonio, fu condotto al santo perché lo esorcizzasse. Olibrio fu liberato dallo spirito maligno, fu battezzato con tutta la sua famiglia e, essendogli morta poco dopo la moglie, si offerse insieme coi due figli come compagno di vita monastica ad Ellero: donò al santo i suoi averi e tra l’altro un piccolo terreno poco lontano, da lavorare. Sorse così, verso il 496, il nucleo monastico di Galeata, che nel giro di poco tempo richiamò la presenza di altri religiosi. Fu ampliato una prima volta e alla struttura vennero date gradualmente le caratteristiche di una chiesa utilizzando pietra del posto e materiale di reimpiego proveniente da Menaviola.
A cinquant’anni dalla fondazione a Sant’Ellero esisteva già un monastero che si sviluppò in breve tempo e acquisì sempre maggiore importanza, fino a diventare organo di controllo religioso di circa quaranta parrocchie tra Romagna e Toscana assumendo un considerevole potere economico, giuridico, politico e militare su un vasto territorio.
L’influenza di Sant’Ellero nella vallata bidentina si espresse anche attraverso la fondazione di castelli dislocati sul territorio per la difesa del monastero, tra questi quello di Pianetto, nelle vicinanze, a partire dal XIII secolo, anche se probabilmente è più antico, che nel corso del tempo fu conteso da Firenze. Nel resoconto del 1371, effettuato per conto del cardinale Anglico de Grimoard, viene descritto come un potente impianto fortificato dotato di due accessi. Poi il castello di Santa Sofia, che restò di proprietà degli abati di Sant’Ellero fino al 1424 per poi passare a Firenze. A questi due vanno aggiunti quelli di Civitella, fatto edificare per arricchire l’apparato difensivo e appartenne all’abbazia tra il 1070 e il 1275, di Cornacchiaro e Valcapra, che completavano la protezione militare e consentivano ampia visibilità e controllo del territorio, oltre che sulle merci e le persone che li frequentavano.
“La gestione di un’articolazione difensiva di questo genere”, scrive Francesca Ture nel libro “La spada, la croce, il giglio. L’Appennino romagnolo nel Medioevo e nell’Età Moderna”, a cura di Luca Onofri, edito dalla Società Editrice “Il Ponte Vecchio” di Cesena nel 2021, “richiedeva risorse umane addestrate alla guerra, e anche in questo senso l’abbazia di Sant’Ellero non si mostrò inferiore alle potenze feudali laiche: capitava di frequente che gli Abati intervenissero nelle lotte armate, come accade nel 1168 contro i Faentini a Castelleone o nel 1226 a fianco di Federico II e Guido Guerra di Modigliana, in particolare negli scontri tra guelfi e ghibellini o per ostacolare l’ingerenza della Chiesa Ravennate. Questi uomini di fede e di armi talvolta non esitavano neppure a compiere razzie negli insediamenti appenninici per indebolire le parti nemiche; è quello che avvenne nel 1227, quando i monaci-guerrieri di Sant’Ellero attaccarono il castello di Frassineta per colpire il rivale monastero di Prataglia”.
“Tra il VI e il IX secolo, in conformità alla sua crescente importanza”, scrive Alessandra Cocchi, ideatrice del sito www.geometriefluide.it, “la chiesa si ingrandì, corredandosi di un campanile a destra e di un chiostro a sinistra, oltre ad ingentilirsi con la decorazione scolpita. Molti frammenti scultorei provenienti da Sant’Ellero, oggi custoditi al Museo Civico Mambrini, attestano l’incremento della produzione artistica in un luogo che divenne sempre più prestigioso, poiché oltre al valore di santuario si aggiunse l’importanza politica e strategica dovuta anche alla sua posizione di frontiera, ai confini del territorio vescovile. Inoltre, la vita abbaziale era sostenuta da una proprietà terriera che dalla prima donazione, risalente al tempo della sua fondazione, si estese nei secoli a venire”.
Trovandosi in una posizione strategica, fu teatro di complesse vicende storiche. Nel corso dei secoli ha subito una serie di distruzioni e ricostruzioni, ma la rovina del grande complesso medievale non è tanto dovuta agli scontri militari, quanto ai devastanti terremoti. Il 30 aprile 1279 si narra che avvenne una scossa sismica particolarmente forte che distrusse il monastero dalle fondamenta (poi ricostruito) e le opere d’arte che lo impreziosivano.
La potenza politica e feudale di Sant’Ellero iniziò a declinare fra il XIII e XIV secolo, ma l’autorità spirituale del Santo è sopravvissuta fino ai nostri giorni. La diocesi “nullius” venne soppressa nel 1785 da Pio VI e successivamente passò sotto la giurisdizione della Diocesi di Sansepolcro, mentre dal 1975 fa parte di quella di Forlì.
Il 13 aprile 1496 vennero scoperte le reliquie di Sant’Ellero seppellite sotto le macerie dei precedenti terremoti. “Il clamoroso ritrovamento, circondato da un’aura miracolosa”, sono ancora parole di Alessandra Cocchi, “rinnovò il culto di Sant’Ellero, stimolando i fedeli alla ricostruzione dell’edificio ormai in grave deperimento. Per l’esistenza dell’abbazia, l’episodio fu particolarmente positivo poiché questa nuova ondata mistica, pregna di aspetti magico-religiosi e leggendari molto sentiti e popolari restituì alla vecchia abbazia il suo ruolo di santuario, investendola di un nuovo fervore devozionale e protettivo”. Di qui in poi i restauri si susseguirono numerosi e quelli più recenti, risalenti agli anni ’50 del secolo scorso, hanno determinato l’aspetto attuale del luogo di culto al suo interno mentre l’esterno ha mantenuto uno stile romanico che conferisce al complesso un aspetto austero e solenne. La costruzione è realizzata in muratura di mattoni e blocchi di pietra, mentre la facciata e gli elementi di rifinitura come le lesene e le cornici del portale e delle finestre sono in pietra arenaria locale. La facciata, con la sua forma ascendente, la finestra circolare in alto e il portale disposti ad asse, è la parte più romanica dell’edificio che appare massiccia e larga. Alla chiesa doveva affiancarsi il campanile perduto, poi sostituito con quello ottocentesco ancora visibile oggi. Sul lato sud della chiesa si vedono ancora i segni delle arcate che fanno pensare ad un chiostro intorno al quale si sviluppava il monastero.
Il suggestivo ambiente interno della chiesa, a navata unica, è suddiviso su ogni lato in tutta la sua lunghezza in cinque nicchie mediante pilastri addossati sostenenti archi a tutto sesto e cappelle laterali coperte da volte a botte. Le cappelle con i pilastri, le lesene e la trabeazione che corre in alto in senso longitudinale fanno parte delle trasformazioni settecentesche. In fondo alla navata il presbiterio è soprelevato sulla cripta e diviso da una transenna in marmo traforata. Il breve coro quadrato, coperto da volta a crociera è illuminato da un’unica finestra aperta sulla sinistra.
“La cripta, in cui si conserva il Sarcofago di Sant’Ellero, del VII-VIII secolo”, annota Alessandra Cocchi, “è la parte più antica e più sacra della chiesa, meta di continui pellegrinaggi. Secondo la tradizione corrisponderebbe al sacello originario e dietro ad essa si trova la cella del santo, una nicchia quasi cubica, di un metro circa in cui sembra che Sant’Ellero si ritirasse in preghiera. Sul soffitto del sacello è presente un foro utilizzato dai fedeli per calarvi cibi e oggetti da benedire. L’ambiente ipogeo piccolo, spoglio e di forma irregolare viene fortemente caratterizzato dalla presenza solenne del sarcofago, ricavato da un monolite di marmo greco scolpito fra l’VIII e il IX, e dall’altare”.
Vicino all’abbazia, una colonnina sormontata da una croce segna il punto in cui secondo la leggenda avvenne il famoso incontro-scontro di Ellero con il re degli Ostrogoti Teodorico il Grande (454 – 526) che è rappresentato da un bassorilievo del VIII secolo conservato nel Museo Civico Mambrini di Pianetto (Galeata). Nell’opera si vede Teodorico a cavallo dinanzi al Santo che lo benedice, perché, come riportata nel pannello esplicativo, accadde che “il re Teodorico costruiva un palazzo presso il fiume Bidente nelle parti di Galeata e costringeva ad andarvi molti operai; alcuni gli riferirono che un certo servo di Dio, lì presso aveva la sua abitazione e non degnavasi ubbidire ai regali comandi. Quindi lo stesso re Teodorico, mentre pieno di ira sale la strada con un cavallo in rapidissima corsa, mentre collo stesso furore voleva avvicinarsi all’uomo di Dio, prima di arrivare al recinto si fermò e non poté essere mosso dai cavalli. Per tale prodigio il re domandò perdono. Allora il servo di Dio lo sollevò e lo condusse alla grotta e fatta orazione si amarono”
Non lontano dall’abbazia si ergeva una maestosa quercia (detta di Malatesta) in quanto sempre secondo la tradizione, sotto questo albero venne ucciso a tradimento Gianciotto Malatesta, già sposo di Francesca da Polenta, da un certo Ulpino, mentre si riparava sotto il grande albero dopo essere fuggito dalla Tombina, dove era stato sconfitto il 14 novembre 1277.
Dopo aver visitato Sant’Ellero si consiglia di scendere a Galeata e affrontare l’importante l’itinerario storico-archeologico che parte dal sito della villa di Teodorico, una elegante residenza tardoantica edificata fra la fine del V secolo e l’inizio del VI secolo d.C, che ha nelle vicinanze la chiesa romanica di Santa Maria del Pantano.
Al termine ristoranti e agriturismi della zona sono nelle condizioni di soddisfare e bene le esigenze di ogni palato.
Gabriele Zelli
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