Film girato a Rimini e che offre un'immagine insolita della capitale del turismo
Cinquant’anni fa (il 23 ottobre 1972) esordiva nelle sale cinematografiche “La prima notte di quiete”, film di Valerio Zurlini interamente girato a Rimini. Protagonista era Alain Delon, ma al suo fianco c’era anche uno stratosferico Giancarlo Giannini oltre ad una bravissima Lea Massari.
Una pellicola caratterizzata dall’insondabile malinconia dei due protagonisti: Alain Delon, il professore Daniele Dominici supplente al liceo classico e con l’aria di un poeta maledetto e la sua allieva, che diventerà la sua amante, Vanina Abati, interpretata da Sonia Petrovna. Ma è soprattutto un lavoro che propone l’immagine, un po’ malinconica, della città in inverno, molto lontana dai luoghi comuni per cui era nota come capitale italiana del turismo balneare. Ed è quello l’aspetto più interessante che è anche l’elemento caratterizzante, come e più dell’amore proibito tra i due protagonisti e, soprattutto, dei luoghi scelti dal regista come set: la Biblioteca civica Gambalunga, piazza Cavour, la Vecchia Pescheria, via Poletti, la ‘palata’ del porto.
In definitiva emerge una Rimini triste e meravigliosa, poetica e malinconica. Come era prima che la gente ci andasse a passare i fine settimana anche fuori stagione, prima delle belle strade, delle centinaia di appartamenti, del divertimentificio, degli alberghi e degli agriturismi. Una Rimini diversa e che inevitabilmente non tornerà più. Poi ognuno può scegliere quale preferisce.
Il film non fu molto apprezzato dalla critica, ma, come spesso succede, ebbe un grande successo di pubblico. Andarono a vederlo oltre sette milioni di spettatori, venne superato da un altro memorabile fuoriclasse, Il Padrino di Coppola,e solo pochi volarono più in alto (Terence Hill e Bud Spencer con Più Forte Ragazzi!). Ed ha avuto ragione il pubblico perché “La prima notte di quiete” è una pellicola che dimostra tuttora grande potenza e forza comunicativa e non capita spesso con i film che hanno oltrepassato la soglia dei decenni. Questo perché rappresenta il carisma della vitalità artistica perché ancor oggi riesce a trasmettere quel pathos di emozione istintiva propedeutica per accedere alla forma più limpida di classicità.
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