Pare che il destino sia segnato: siamo destinati a vivacchiare nella terra della crescita zero. Una situazione che non promette niente di buono per il futuro. Purtroppo l’economia italiana si conferma la più debole d’Europa. Lo attestano le previsioni d’autunno pubblicate dalla Commissione. Come crescita del Pil chiuderemo il 2025 con un +0,4%, solo Austria e Germania faranno peggio. Nel 2026 e in quello successivo accelereremo allo 0,8, ma resteremo sempre in fondo alla classifica della crescita. Dei ventisette Paesi dell’Ue siamo l’unico che in questi tre anni non vedrà mai il Pil aumentare di oltre l’uno per cento. Tutto questo nonostante il Pnrr, il grande piano europeo per risollevare l’economia dopo la devastazione del Covid. Noi siamo stati il primo beneficiario, con 81 miliardi di euro in sovvenzioni e 127 miliardi di prestiti agevolati. Doveva essere la grande occasione per risollevare la vecchia economia italiana. Ma tutto lascia credere che non l’abbiamo colta. Un’occasione persa. Speriamo non sia l’ultima.
È chiaro che l’indice accusatore è puntato contro il governo. Ma i sostenitori di Giorgia Meloni & c. sostengono che sono in buona compagnia. In effetti dal 2001 ad oggi il Pil dell’Italia ha fatto segnare una crescita cumulata di circa il 4% contro il +30% dell’area euro. E in questo quarto di secolo abbiamo avuto dodici governi. Però nessuno ha avuto i numeri dell’attuale esecutivo. Giorgia Meloni dispone di una maggioranza bulgara, numeri che avrebbero permesso di fare quelle riforme che avrebbero potuto far cambiare volto all’Italia. Magari non ci sarebbe stata una crescita immediata, ma si sarebbe potuto lavorare per il futuro.
I problemi che zavorrano il Paese ormai li conosciamo a memoria, perché più o meno tutti (dal Fmi alla Banca d’Italia, passando dall’Ocse) ce li ricordano periodicamente: bassa produttività, scarsa innovazione, aziende troppo piccole, invecchiamento demografico, eccesso di burocrazia, sistema giudiziario inefficiente, pochi investimenti. E in questa direzione è stato fatto poco o addirittura niente.
Abbiamo tenuto i conti in ordine, ma, come dice Calenda, distribuendo i pochi fondi disponibili in moltissimi rivoli invece di puntare su una o due voci al massimo. E così, come scrive Avvenire, davvero, per molti versi, l’Italia del Pil assomiglia sempre più a quella del calcio: torneremo ai Mondiali, se tutto va bene, ma di arrivare in fondo e vincerli – purtroppo – non se ne parla nemmeno.
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