Nel percorso che va, dall’ufficio di rappresentanza della cooperazione agricola a Bruxelles all’albergo dove solitamente pernotto, c’è una piazza nella quale alcuni “dehors” e “terrasse” verso le 18,30 della sera accolgono bevute di gruppo prima del rientro serale alle varie dimore.
La piazza è collocata di fronte al Parlamento Europeo e la cosa che caratterizza fortemente il vociare e la visione del passante è l’eterogeneità delle età dei bevitori, ma soprattutto il complesso vociare è di una moltitudine di idiomi più o meno riconoscibili.
Vi si ritrovano all’uscita dei vari uffici i dirigenti, i funzionari, gli interpreti, gli impiegati e gli stagisti del Parlamento.
Vi si respira un misto di rilassatezza per la fine della giornata di lavoro, la preparazione per l’eventuale proseguimento mondano serale, ma in certi tavoli si notano “quasi riunioni” forse conclusive della giornata, forse preparatorie per l’indomani o forse più semplicemente l’incontro in territorio neutro tra i lobbisti di ogni risma e l’assistente di quel o questo deputato.
Di certo in quel crogiolo di lingue e di genetica si respira l’Europa, forse gli Stati Uniti d’Europa. Senza se e senza ma. Più o meno tutti lontani dal loro paese di nascita (tranne i belgi naturalmente) ad un dato momento della loro vita professionale e probabilmente anche affettiva sono seduti su una sorta di “collina delle opportunità” e da lì vedono o possono vedere un poco più lontano. In quei momenti, probabilmente la loro nazionalità è semplicemente: europea,
Il loro punto di partenza, il paese da cui sono partiti qualche mese o qualche anno fa, è forse oggi solo una provincia del nostro vecchio continente. Sicuramente per un calabrese che negli anni ’50 si recava a Mirafiori il salto era ben maggiore. L’importante è non arrestare questo processo e diffondere e moltiplicare i semi di queste contaminazioni positive in ogni bar e terrasse d’Italia e d’Europa.
Cristian Maretti
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