Marina Centeno, amica e poetessa messicana avvolge e parla attraverso la sua poesia ed i suoi versi che sono tanto belli quanto ruvidi e duri a volte.
Tra la penna e i versi che Marina utilizza per esplorare continuamente il proprio corpo, con sinuosa e morbosa curiosità, circola e fluisce costantemente e parallelamente la sua anima di autentica poetessa.
Marina utilizza il proprio corpo, narrato, esplorato e fotografato attraverso i versi poetici, per raccontare in realtà i tormenti e le contraddizioni della propria interiorità e sensibilità.
Una femminilità marcata e al contempo delicata le permette di analizzare ogni singola sfumatura che parte dalla smaniosa ricerca di un senso estetico del bello, per attraversare l’insoddisfazione e il tormento che nascono dal limite e dall’impedimento e che si trasformano inevitabilmente in consapevolezza e coscienza di ciò che si è. Spesso Marina conclude questa insofferente e smaniosa ricerca di sé con un gesto finale che chiude un discorso, tanto erotico quanto introspettivo, che si avvicina di molto alle sembianze di un orgasmo reale.
Quasi che fosse un grido di speranza e al contempo di dolore, immerso nella piena coscienza di come non si possa andare più in là e allora ci si deve per forza fermare qua.
Marina Centeno ogni volta che apre un discorso poetico vorrebbe volare più in alto che si può ed ogni volta che chiude un discorso poetico, lo conclude con la consapevolezza dell’impossibilità.
Infine come un Titano prova a lottare contro il tempo.
Il tempo non lo puoi fermare, non lo puoi misurare e non lo puoi confrontare con nulla. Il tempo è una assoluta indefinibilità alla quale noi diamo continuamente una idea di definibilità, ma inutilmente.
Marina pur con piena consapevolezza non si arrende a ciò e si sforza con tutta l’intensità dei suoi versi di cogliere una definibilità nella vita, nella poesia e nel proprio corpo.
Infine è proprio in questo sforzo che Marina Centeno riesce egregiamente a raggiungere tracce di piena e completa definibiltà.
Rosetta Savelli
23 maggio 2013
LA POESÍA ÁSPERA Y BELLA DE MARINA CENTENO.
Marina Centeno, amiga y poeta mexicana envuelve y habla a través de su poesía y sus poemas que son tan hermosos como ásperos y duros a veces.
Entre la pluma y los versos que Marina utiliza para explorar continuamente su propio cuerpo, con la curiosidad morbosa y sinuosa, circula y fluye continuamente y de forma paralela al alma de un auténtico poeta.
Marina utiliza su cuerpo, narrando, explorado y fotografiado a través en los versos poéticos, para decir en realidad los tormentos y las contradicciones de su propia interioridad y la sensibilidad.
Una feminidad fuerte y sutil le permite analizar todos los matices que parte de la frenética búsqueda de un sentido estético de la belleza, para cruzar la insatisfacción y la angustia derivada de la punta y del impedimento que inevitablemente se convertirá en cuenta y conciencia de lo que uno es.
A menudo Marina concluye este impaciente y ansioso egoísmo con un gesto final que cierra un discurso, tanto erótica como introspectiva, que está muy cerca de la aparición de un orgasmo real.
Es casi un grito de esperanza y, al mismo tiempo de dolor, inmerso en la plena conciencia de que no podemos ir allí y entonces necesariamente tiene que parar aquí.
Marina Centeno cada vez que abre un discurso poético quiere volar tan alto como puede y cada vez que se cierra un discurso poético termina con la conciencia de la imposibilidad.
Por último, como Titan trata de luchar contra el tiempo.
El tiempo no se puede detener, no se puede medir y no se puede comparar con nada. El tiempo es un indefinibilidad absoluta a la que continuamente nos damos una idea de definibilidad, pero es en vano.
Marina aún con pleno conocimiento no se rinde a él y se esfuerza con toda la intensidad de sus versos para captar una definibilidad en la vida, en la poesía y en su propio cuerpo.
Por último, es precisamente en este esfuerzo que Marina Centeno logra admirablemente rastros para lograr la plena y completa definibilidad.
Rosetta Savelli
23 de mayo 2013
Frente al espejo de Marina Centeno
Yucatán México
LA POESIA BELLA E RUVIDA DI MARINA CENTENO. di Rosetta Savelli Marina Centeno, amica e poetessa messicana avvolge e parla attraverso la sua poesia ed i suoi versi che sono tanto belli quanto ruvidi e duri a volte. Tra la penna e i versi che Marina utilizza per esplorare continuamente il proprio corpo, con sinuosa e morbosa curiosità, circola e fluisce costantemente e parallelamente la sua anima di autentica poetessa. Marina utilizza il proprio corpo, narrato, esplorato e fotografato attraverso i versi poetici, per raccontare in realtà i tormenti e le contraddizioni della propria interiorità e sensibilità. Una femminilità marcata e al contempo delicata le permette di analizzare ogni singola sfumatura che parte dalla smaniosa ricerca di un senso estetico del bello, per attraversare l’insoddisfazione e il tormento che nascono dal limite e dall’impedimento e che si trasformano inevitabilmente in consapevolezza e coscienza di ciò che si è.
Para saber quién soy
hube de mirar al espejo
los abruptos de la entrepierna
la caída de los senos
el ocaso del ombligo
amartillado en suspenso
El doblez y las esquinas
de las arrugas que nacen
en el picaporte del miedo
Lo itinerante del pelo
al enredarse en la nuca
un sin número de sueños
Lo vacío de mis hombros
en lo que carga el recuerdo
tras las huellas de mi espalda
en cicatrices de tiempo
El empate de caderas
que por la línea del culo
se abre de par en par
como las aguas al viento
luego del recorrido
de minucioso a violento
tracé una línea divisoria
entre el reflejo y el dedo
como una herida abierta
como una cala de agua
entonces hallé quien soy
perdida entre el laberinto
de órganos y excremento
Marina Centeno
Yucatán México
Davanti allo specchio
Traduzione in Lingua Italiana
di Rosetta Savelli
Per sapere chi sono
ho dovuto guardare allo specchio,
il cavallo brusco
i seni cascanti
il declino dell’ombelico
come un guerriero senza armi.
Pieghe e angoli
di rughe sorgono
sulla maniglia della porta della paura,
I capelli svolazzanti
impigliano e aggrovigliano nel collo
una serie di sogni
Svuoto le mie spalle
dal carico della memoria,
lungo le tracce della mia schiena
seguendo le cicatrici,
tra la svolta dei fianchi
fino alla linea delle natiche
aperte e spalancate
al pari di acque nel vento
Luogo di ricordi
da minuziosi a violenti.
Ho disegnato una linea
tra la riflessione e il dito
come una ferita aperta
come una sorgente d’acqua,
poi ho scoperto chi sono
persa nel mio labirinto
fra organo e feci
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