Il processo ai vitelloni finisce pari

Tradizionale processo organizzato da Sammauroindustria


Il Processo ai Vitelloni di Fellini finisce con un pareggio: senza condannati né assolti. È la prima volta che avviene nella storia ventennale dell’evento organizzato da Sammauroindustria. Il voto della giuria popolare per alzata di paletta ha sentenziato 219 voti per la condanna, altrettanti per l’assoluzione, in una platea di oltre 450 persone nella Torre pascoliana (numero dimezzato a causa delle normative sul distanziamento). Al presidente del Tribunale Gianfranco Miro Gori non è restato che constatare la parità ed emettere un “non verdetto”, fatto inedito per l’evento.

Da sinistra: Gianfranco Angelucci, Daniela Preziosi e Gianfranco Miro Gori

Lo stesso Gori, esperto di cinema, dopo il saluto del neo presidente di Sammauroindustria Daniele Gasperini, aveva aperto la serata ricordando la figura di Sergio Zavoli. Il suo “humus è stato Rimini come per Fellini – ha detto – Entrambi si allontanano dalla provincia e vanno a Roma, entrambi portano la città nel cuore. Adesso riposano uno a fianco all’altro nella Rimini che hanno sempre amato”.

A seguire il Processo, aperto dall’accusa di Daniela Preziosi. “La visione tribunalesca mi è estranea, diceva Fellini; frase che faccio mia – ha esordito la giornalista – Non demonizzo il film che ha tanto ancora da dire ma la figura del Vitellone: un giovane di provincia, ozioso e indolente, che passa il tempo in divertimenti, privo di aspirazioni. Fellini ne prende le distanze e ci indica i capi di imputazione. Il grande regista è dunque il teste principale dell’accusa. Ma se Fellini concede un’attenuante umana perché ‘tutti i peccati meritano comprensione’, per noi i Vitelloni restano un monumento alla peggio gioventù maschile, regredita al comodo eterno stato infantile, mammoni e traditori, bandiere di un’inconcludenza che è indifferenza. Bighellona, bovina, bulla, banale, irredimibile. In una Italia che riparte dopo il dramma della Guerra, i Vitelloni rispondono con l’emblematico gesto dell’ombrello di Alberto Sordi a chi lavora”.

Tranchant il finale di Daniela Preziosi: “Sono personaggi irriscattabili, vanno condannati senza appello. Salvo solo Moraldo, quello che alla fine del film se ne va. Il personaggio è Fellini, solo per lui chiedo l’assoluzione”.

A ribattere ci ha pensato Gianfranco Angelucci, collaboratore del regista. “Sono pesanti le accuse mosse ai Vitelloni. Fellini diceva ‘parla di quello che sai senza ideologie’: penso che l’approccio ideologico debba essere rigettato. Io non difendo il Vitellone ma lo elogio: è l’archetipo dilatato dell’Italia, un eroe del nostro tempo. La società ci rende ingranaggi di un sistema, il Vitellone esce dagli schemi. È un non integrato, un individualista che risponde solo a sé stesso, i legami del sangue vengono prima di tutto. È un sentimentale con le donne, le fa piangere ma lui piange insieme a loro. Il Vitellone non vince guerre perché non le fa e non le provoca”. Angelucci ha chiamato a sua difesa alcuni “vitellonacci” (parole sue) che hanno fatto la storia del cinema. “Gassmann e Sordi nella Grande Guerra di Monicelli: due furbetti che diventano eroi. Il Bruno Cortona sempre di Gassman ne il Sorpasso, Sordi ne Una vita Difficile di Dino Risi. Sono tutti personaggi che è impossibile non amare”.

Il finale è con una battuta di Ennio Flaiano. “La bandiera dei Vitelloni è mi spezzo ma non mi impiego”. “Ecco, questa frase la faccio mia e proprio per questo vanno assolti”, ha chiuso Angelucci.

A seguire la votazione della giuria con l’inedito pareggio.

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Davide Buratti

Davide Buratti, giornalista professionista, fondatore della Cooperativa Editoriale Giornali Associati che pubblica il Corriere Romagna, di cui dal 1994 e per 20 anni è stato responsabile della redazione di Cesena. Oggi in pensione scrive di politica, economia e attualità a 360 gradi nel suo blog per Romagna Post. Per contatti utilizzate il box commenti sotto gli articoli.