Non passa giorno che le edizioni online dei quotidiani non ricevano richiesta di cancellazione di vecchi articoli nel nome del diritto all’oblio. Principio sacrosanto: un reato, o comunque una notizia non proprio positiva, non possono restare in eterno appiccicate a una persona come un marchio d’infamia. In fondo negli stessi precedenti giudiziari è prevista la scappatoia della ’non menzione’ che ripulisce sostanzialmente la fedina penale nei casi più lievi. Quando invece il principio viene applicato rigidamente alle pubblicazioni (e alla permanenza delle informazioni sul web) il rischio concreto è quello di censura a ritroso che confina pericolosamente con la riscrittura della storia di orwelliana memoria. L’Unione Europea, attraverso una recente sentenza della Corte di giustizia, è andata oltre e ha riconosciuto il diritto dei cittadini di richiedere ai motori di ricerca di eliminare i link a pagine con contenuti negativi che li riguardano. Dipenderà da come il principio sarà recepito e applicato nelle singole legislazioni nazionali (in attesa di un diritto europeo univoco sul tema) ma la linea di confine con la censura è in procinto di essere attraversata. Al di là dei giustificati casi dei cittadini comuni, anche politici e potenti in genere potrebbero impugnare il principare per ripulire la loro reputazione, almeno davanti alla cronaca. Un’ipotesi irreale? Per chi dispone di risorse economiche e coriacei studi legali è qualcosa più di uno spiraglio. Perla libertà d’espressione e di informazione è invece un rischio concreto.
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