Emanuele Trevi
RAVENNA. Torna “Il Tempo Ritrovato” la rassegna autunnale di ScrittuRa Festival curata da Matteo Cavezzali alla biblioteca Classense di Ravenna con i principali autori di narrativa.
La rassegna è organizzata grazie al contributo dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Ravenna e di APT Servizi Emilia-Romagna.
“Il ritorno de ‘Il Tempo Ritrovato’ segna anche quest’anno l’autunno ravennate con una serie di appuntamenti a cui la città è ormai affezionata – afferma l’assessore alla Cultura Fabio Sbraglia -. Da anni infatti questa rassegna offre l’opportunità di accogliere e incontrare negli straordinari spazi della Biblioteca Classense scrittori e intellettuali importanti e di spicco nel panorama letterario e culturale nazionale”.
“Inizia l’undicesimo anno di incontri del Tempo Ritrovato, che dà continuità durante l’anno a ScrittuRa Festival. Siamo contenti che la Biblioteca Classense abbia consolidato questa collaborazione che porta ogni anno in città i migliori narratori del panorama nazionale. Siamo inoltre felici di iniziare con Emanuele Trevi che oltre ad essere un autore premiato col Premio Strega è un amico e un raffinato intellettuale da cui c’è sempre da imparare” dice Matteo Cavezzali, curatore della rassegna.
Si inizierà mercoledì 27 settembre alle 17.30 con Emanuele Trevi, vincitore del Premio Strega 2021 con “Due vite” (Neri Pozza). Ha tradotto e curato edizioni di classici italiani e francesi: si ricordano testi dedicati a Leopardi, Salgari, Mellville, Philip K. Dick e molti altri. Collabora con RAI-3 Radio. In questi giorni è uscito il suo attesissimo nuovo romanzo “La casa del mago” (Ponte alle Grazie) in cui racconta la storia del suo rapporto col padre.
Nel memorabile incipit di questo libro, la madre di Emanuele Trevi, allora bambino, riferendosi al padre pronuncia più volte un’istruzione enigmatica: «Lo sai com’è fatto». Per non perderlo (ad esempio fra le calli di Venezia, in una passeggiata dell’infanzia) occorre comprendere e accettare la legge della sua distrazione, della sua distanza.
Il padre, Mario Trevi, celebre e riservatissimo psicoanalista junghiano, per Emanuele è il mago, un guaritore di anime. Alla sua morte lascia un appartamento-studio che nessuno vuole acquistare, un antro ancora abitato da Psiche, dai vapori invisibili delle vite storte che per decenni ha lenito, raddrizzato. Il figlio decide di farne casa propria, di trasferirsi nella sua aura inquieta e feconda, e così prova a sciogliere (o ad approfondire?) l’enigma del padre. Muovendosi nel suo mutevole territorio − fra autobiografia, riflessione sul senso dei rapporti e dell’esistenza, storia culturale del Novecento − Emanuele Trevi ci offre il suo romanzo più personale, più commovente, più ironico (e perfino umoristico): una discesa negli inferi e nella psicosi, una scala che avvicina i vivi e i morti, i savi e i pazzi. Perché ogni vita nasconde una luce, se la si sa stanare; e i gesti e le parole più semplici rimandano alla trama sottile dell’essere, se li si sa ascoltare, se si sa lasciarli accadere.
Seguirà l’11 ottobre alle 17.30 Paolo Di Paolo con il suo “Romanzo senza umani” (Feltrinelli).
Di Paolo è autore di molti romanzi, Collabora con La Repubblica, L’Espresso e Vanity Fair. Conduce dal 2006 le Lezioni di Storia all’Auditorium Parco della Musica di Roma e collabora come autore a programmi culturali. Nel 2008 è stato uno dei volti della trasmissione culturale di Raitre Gargantua, condotta da Giovanna Zucconi. Nel 2019 ha condotto “Fuoco sacro il talento e la vita” su la Effe, un programma dedicato alle biografie di quattro scrittori italiani. Dal 2020 conduce la trasmissione radio settimanale “La lingua batte” su Radio 3 RAI. In “Romanzo senza umani” un uomo solo cammina lungo le rive di un grande lago tedesco. È partito all’improvviso, chiudendo in valigia l’essenziale e un post-it stropicciato con una strana lista di nomi. Forse Mauro Barbi vuole mettersi al riparo dagli effetti di una serie di “incidenti emotivi” – così li chiama – che lui stesso ha provocato. È ripiombato nella vita di persone che non vedeva da tempo, pretendendo di riannodare fili interrotti, di avere risposte fuori tempo massimo. Si è messo in testa di far coincidere i ricordi altrui con i propri, di modificare e riparare la memoria di amici e compagni di strada, imponendo la sua versione dei fatti. Che razza di impresa è? Forse c’entra una piccola era glaciale privata, un processo di raffreddamento che ha spopolato la sua esistenza e di cui cerca le ragioni. Il grande lago a cui ha dedicato anni di studio può dargli le conferme che cerca? Vede, anzi immagina, l’immensa lastra di ghiaccio che lo copriva da sponda a sponda quattro secoli e mezzo prima. Il sole pallido su una catasta di uccelli morti, precipitati come pietre. Le anatre assiderate, i lupi affamati. Il cuore di un lunghissimo e spaventoso inverno che travolse l’Europa con i suoi venti polari, le grandinate furiose, le inondazioni. Non è una distopia, è l’esatto contrario: è il 1573. Una remota stagione estrema, che faceva battere i denti, perdere la speranza, impazzire. Come se ne uscì? Come se ne esce? Le immagini del passato ci ingannano sempre. Barbi prova a rientrare nel presente, con tutta l’ansia e la fatica che richiedono i gesti semplici. Uno in particolare può fare la differenza. È la fine di un viaggio fitto di rivelazioni. È l’inizio del disgelo.
Il 25 ottobre Eleonora Mazzoni parlerà di “Il cuore è un guazzabuglio. Vita e capolavoro del rivoluzionario Manzoni” (Einaudi). Un Manzoni trasgressivo, lontano dalla figura impolverata e un po’ bigotta che, purtroppo, a volte si spiega a scuola. Un Manzoni prima uomo e poi scrittore, che Eleonora Mazzoni ci racconta intrecciando le pagine dei Promessi sposi con una biografia costellata di slanci arditi, delusioni cocenti e brucianti amori. Il Manzoni, sempre chiamato con l’articolo a precedere il cognome, che immaginiamo da studenti è un uomo perennemente di mezz’età, dallo sguardo grave e un po’ assente, simile a quello ritratto da Francesco Hayez in uno dei suoi dipinti più celebri. Un uomo che difficilmente riesce a ispirare simpatia, così come difficilmente può ispirarla il suo capolavoro, I promessi sposi, che da adolescenti svogliati sorbiamo come una medicina amara da ingerire perché «fa bene». Ma, leggendo con attenzione le milleottocento lettere che ci ha lasciato e le testimonianze di familiari e amici, Manzoni risulta molto diverso da così. Conversatore ironico e affabile, all’avanguardia su tutto, animato da un ardente fuoco politico, da giovane fu ribelle e libertino, rimanendo inquieto per tutta l’esistenza. Anzi, una volta diventato scrittore, Alessandro, chiamiamolo per nome adesso, riversò la propria inquietudine nella sua opera, come pochi altri hanno saputo fare. I promessi sposi riflette, infatti, tutte le passioni che hanno agitato una vita avventurosa e piena di tumulti emotivi: l’abbandono materno, l’assenza di un padre, il travaglio spirituale, la lotta civile per un’Italia unita e libera dall’oppressore straniero. Un grande romanzo popolare, attraversato da uno spirito indomito, capace di penetrare gli esseri umani e il loro cuore. E di scuotere ancora oggi la nostra anima.
Il 6 novembre l’attrice, performer, regista e autrice Silvia Calderoni presenterà il suo primo sorprendente romanzo “Denti di latte” (Fandango). Il tempo dell’infanzia, quello dei denti di latte e dello stupore per la scoperta di ciò che ci circonda, non passa, nel romanzo di esordio di Silvia Calderoni, si dilata, invece, come in un incantesimo, e tratteggia i pannelli di un’infanzia non conforme a Lugo, un piccolo paese della provincia italiana. Vedere, udire. Il campo sensoriale si apre. Agli occhi della protagonista la realtà si offre come spaventoso oggetto di indagine, nulla è in fondo come sembra, tutto va studiato, analizzato, sezionato. Con una scrittura scarnificata e poetica l’autrice racconta un’infanzia non edulcorata, un’infanzia che è già una vita adulta. Un libro indefinibile, inedito, umanissimo.
Il 15 novembre “Riemersi – Romagna ’23 storie per un’alluvione” (Solferino) con Matteo Cavezzali, Silvia Camporesi e altri autori. Una raccolta di racconti per narrare quello che è accaduto in Romagna a cui hanno partecipato gli autori più importanti del panorama regionale da Silvia Avallone a Marco Missiroli, da Carlo Lucarelli a Mariangela Gualtieri, da Cristiano Cavina a Lorenza Ghinelli, da Simona Vinci a Francesco Zani con le fotografie di Silvia Camporesi. Il progetto nato dalla collaborazione con il Corriere della Sera sarà presentato a Ravenna.
Il resto del programma di novembre e dicembre sarà annunciato in un secondo momento.
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