“Se uno vuol diffondere il suo pensiero per arricchire il pluralismo si può aprire un blog senza spese per il contribuente” lo scrive un lettore commentando l’intervista a Bruno Molea (Scelta civica) (apparsa anche su Romagna post) che è favorevole al mantenimento del fondo per l’editoria perché “l’editoria va supportata, la pluralità è una ricchezza”.
Premesso che tutte le opinioni vanno rispettate, credo che si faccia confusione. Il paragone fra giornali e blog non è assolutamente calzante. Va però detto che il commentatore in questione non è l’unico a fare confusione. E’ in buona compagnia, a partire da Grillo.
Nessuno vuole essere critico con i blog, anzi. Ma sono uno strumento completamente diverso dai giornali. Si tratta di un prodotto snello e che agevola la democrazia diretta. Sono considerati una novità e per certi versi lo sono, ma a me sembrano una versione 2.0 dei vecchi CB.
Quando ero ragazzino salivo spesso in auto con persone che avevano quello che allora era definito “baracchino”. Un gruppo (più o meno numeroso) di persone dialogava in modo libero dei temi più disparati: dalla politica, al calcio, all’ultima festa e al vestivo nuovo comprato apposta. Era un social network ante litteram nel quale anziché il computer o il tablet si usava il microfono.
I giornali no, sono tutta un’altra cosa. Premesso che chiunque potrebbe esprimervi continuamente il suo pensiero. Racconta fregnacce chi sostiene che le lettere sono censurate. Non sono pubblicate solo quelle a rischio di querela. Sì, perché è bene chiarirlo, in caso di querela per diffamazione risponde (penalmente e civilmente) non solo l’autore della lettera, ma anche il direttore responsabile che è accusato di omesso controllo.
Bisogna comunque considerare che il giornale è un prodotto editoriale complesso, molto. Il più complesso in assoluto. Ed è chiaro che il quotidiano è quello dove le complessità aumentano in maniera esponenziale.
Ho iniziato ad occuparmi di informazione nel 1976. L’ho fatta (a diversi livelli) in radio, televisione, carta stampata (periodica e quotidiana) ed ora mi diletto sul web. La carta stampata (quella quotidiana in particolare) è la più complessa.
Il problema di trovare la notizia e verificarla esiste a tutti i livelli. Nella carta stampata poi si aggiunge il lavoro di titolazione e impaginazione. Nel quotidiano tutto è elevato alla massima potenza per i tempi.
Ci sono poi i costi per realizzare un prodotto. Nel blog non ci sono problemi: chiunque voglia può mettersi al computer e scrivere quello che vuole. Notizie? Ne vedo poche in giro, se non copiate da giornali o giornali online. Diciamo che nei blog troviamo – se va bene – quelle che nel giornale sono le lettere e i corsivi. Però nella carta stampata c’è anche la cronaca. L’edizione di Cesena città del Corriere Romagna, ad esempio, ogni giorno propone dalle 20 alle 30 notizie. Poco più della metà provengono da comunicati stampa, comunque rielaborati. Le altre sono notizie che i giornalisti (assunti o collaboratori) devono cercarsi, sia che si tratti di nera, giudiziaria, politica, amministrativa, bianca, economia. E, va da se, che chi lavora deve essere retribuito.
A questo punto mi si potrebbe obiettare che anche i giornali sono un prodotto commerciale e deve stare sul mercato solo chi è in grado di reggersi in piedi. Legittimo. Però va anche riconosciuto che un fondo editoria esiste in tutto il mondo democratico. E qualcosa vorrà pur dire.
Inoltre, precisato che stiamo parlando di cifre ormai irrisorie (48 milioni per il 2013), bisognerebbe fare anche una considerazione che va oltre il tema legato alla pluralità dell’informazione. Chi è contro il fondo per l’editoria specifica che i contributi statali non debbono pesare sul contribuente. Stia tranquillo, non è così. Ai livelli attuali il fondo per l’editoria al contribuente non costa niente. E’ vero che lo Stato stanzia dei soldi (48 milioni per il 2013), ma questi soldi generano un volume di affari che fra Iva, Irpef, Irap e tasse varie garantiscono alle casse dello Stato un gettito più meno simile. Senza contare i vantaggi determinati dalla ricchezza prodotta dai circa quattromila addetti che ruotano attorno al mondo dell’informazione legata al fondo.
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