1944, la morte che scende su Forlì

Forlì si apprestava a vivere i mesi più impietosi dall’inizio della guerra, stretta tra gli occupanti tedeschi e i bombardamenti alleati dal cielo. Un libro dell’editore cooperativo Edit Sapim racconta quei giorni da una prospettiva inedita: quella dei rifugi antiaerei dislocati in città.

Non sono consentiti privilegi nella scelta dei posti. Chi per primo entra, è tenuto a occupare i posti in fondo, allo scopo di evitare affollamenti in prossimità degli accessi. Così intimava il Comitato provinciale di protezione antiaerea nei regolamenti sull’uso dei rifugi pubblici che andava affiggendo per la città. Era il 1944 e Forlì si apprestava a vivere l’anno più feroce dall’inizio della guerra. Questa storia di allarmi e terrore torna alla ribalta nel recente libro di Elisa Gianardi e Fabio Blaco, “I rifugi antiaerei della città di Forlì – Quando la morte venne dal cielo”, pubblicato nel dicembre scorso da Edit Sapim Editore (marchio di Cooperdiem che edita anche la Romagna Cooperativa, ndr), proprio a settant’anni di distanza da quei tragici avvenimenti. Oltre 100 pagine, ricche di fotografie e documenti, che gettano luce sui sistemi di protezione antiaerea della città durante il Secondo conflitto mondiale.
Dove vennero ricavati a Forlì i rifugi pubblici così vitali in quei mesi? Come funzionavano le sirene d’allarme (che lanciarono il loro lugubre segnale più di 900 volte)? Quali regole vigevano negli affollati ricoveri? Contro bombardamenti e mitragliamenti che colpirono il centro abitato tra il marzo e il dicembre di sette decenni fa, infatti, l’unico riparo per famiglie e sfollati arrivò dal sottosuolo, nelle cantine dei palazzi più capienti o nelle trincee scavate in piazze e giardini, dove condurre una vita segnata da sovraffollamento e sporcizia, in condizioni di estrema precarietà. I forlivesi trascorsero oltre mille e 300 ore rintanati là sotto tentando, come emerge dalle carte del tempo, di accaparrarsi il più possibile i posti a ridosso delle uscite, dove l’aria era meno opprimente e attaccandosi, forse, alla chance in più di uscirne vivi nel caso in cui proprio quello scampolo di strada fosse finito nel mirino degli aerei. Il testo è integrato dalle note storiche di Mario Proli e Gabriele Zelli, che arricchiscono il quadro delle infauste memorie di una città in guerra.
Il libro porta a compimento un progetto sui rifugi forlivesi avviato nel 2012 sulle pagine del “Corriere Romagna”, quotidiano dove Gianardi, come giornalista pubblicista, e Blaco (fotoreporter), collaborano, quando in un articolo misero in luce la presenza di alcuni simboli sulla facciata della scuola elementare “De Amicis” di viale della Libertà. Non si trattava di graffiti qualsiasi, ma di segnali – in particolare due frecce – utilizzati durante le ostilità per indicare ai passanti la presenza di un ricovero a prova di bomba.
Sconosciuti ai più, questi veri murales di guerra sono oggi abbandonati all’incuria. Da allora è partita una grande ricerca condotta a quattro mani, fatta di perlustrazione dei muri della città e di cantine, che ha portato al ritrovamento di numerose scritte dell’epoca, documentate nel libro, e svelato ubicazione e aspetti inediti dei ricoveri cittadini. Dalla loro costruzione, secondo i dettami del regime, ai mesi di utilizzo pressoché ininterrotto a causa delle scorrerie aeree, fino all’abbandono di queste strutture al degrado, tutta la parabola dei bunker forlivesi viene ricostruita attraverso numerosi documenti provenienti dall’Archivio di Stato di Forlì. Scendere in questi scantinati oggigiorno, molti di proprietà privata, ha restituito intera la tragicità dell’esistenza sotterranea, di una città che ancora stenta a crederci e che torna a scendere in quei freddi scantinati per non dimenticare l’orrore ma, neanche, tutta la voglia di ricominciare di cui è stata capace.

Articolo apparso nel n.2/2015 del mensile La Romagna Cooperativa
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