Questa è una storia italiana. Questa è la storia di un paese adolescente.
Sessanta – settanta anni fa, quando iniziarono a funzionare i primi stabilimenti balneari e ci si accorse che la spiaggia era una risorsa turisticamente sfruttabile, lo Stato iniziò a concederne il diritto di sfruttamento economico, a tempo determinato, a piccolissimi imprenditori, i i cd. “bagnini”. Pagando un canone allo Stato, il bagnino diveniva per così dire “affittuario” di un tratto di spiaggia: una volta effettuati alcuni servizi obbligatori, come la pulizia della spiaggia e i gabinetti, egli può trarre un reddito gestendo gli ombrelloni, le cabine e le “sabbiature”.
Queste concessioni dovevano durare cinque anni. Allo scadere, il proprietario (Stato, poi dal 1996 Regione e Comune) poteva riaprire i giochi ridistribuendo le aree per selezione pubblica. Però da subito si vide che i ricavi aumentavano molto più rapidamente dei canoni, sicché alla scadenza, non volendo scontentare le famiglie che nel frattempo avevano scoperto i lati positivi del lavoro sotto il sole – si ritenne opportuno prorogare le concessioni per un altro periodo, e poi per un altro, e poi un altro ancora: finché qualche parlamentare, stufo, si inventò la “proroga automatica permanente”, o, più elegantemente, il “diritto di insistenza”. L’ insistenza altro non è che una strisciante trasformazione dei bagnini da affittuari, in proprietari; in effetti, dire “proprietario”, e dire “concessionario per sempre” è quasi la stessa cosa, se si tiene conto che il canone di concessione, in confronto con i ricavi, è poco più che una piccola tassa; non a caso, proprio come avviene per i proprietari di beni immobili, tutti i bagnini di oggi sono o i primi titolari, o loro figli, o loro acquirenti, o figli dei loro acquirenti.
Chi vuole acquistare il subentro, non paga un prezzo proporzionato agli utili attesi per i prossimi cinque anni, ma, come in una scommessa, al reddito atteso per una durata indeterminata, nella certezza della proroga automatica. Solo così si spiegano i prezzi di un milione e mezzo di euro, dei primi anni 2000. Purtroppo questa “privativa” sulla spiaggia contrasta con la natura pubblicistica e costituzionale dei beni paesaggistici.
A tutela del principio di libera concorrenza, arriva così (2006) l’ intervento di “igiene giuridica” dell’ UE: le leggi nazionali non possono alimentare o sancire o proteggere posizioni imprenditoriali inamovibili e/o sottratte alla concorrenza (protezione che peraltro avviene a tutt’ oggi, diciamolo pure, con i numeri chiusi o semichiusi di tassisti e notai, tema su cui torneremo).
Questo principio non è una cattiveria della direttiva “Bolkenstein” (2006), direttiva citata dai bagnini come esempio di “insensibilità” dell’ Europa rispetto alle tipicità nazionali, ma è un principio generale, suscettibile di deroghe solo se ben giustificate. E la Corte di Giustizia UE ha ritenuto che no, l’ italiana sottrazione degli imprenditori balneari alla normale concorrenza per gara o bando pubblico non è giustificata. Apriti cielo. Bagnini, politici di tutti i colori (tranne i cinquestelle), e sindacati di categoria, fanno bastione “a difesa delle imprese“, “della professionalità acquisita”, “dell’ italianità delle spiagge”, “degli investimenti fatti”. Unici assenti dal dibattito, i cittadini italia ni. Ne esce la legge del 2012, che proroga ulteriormente le concessioni al 2015, e poi quella del 2015, che proroga al 2020.
Come si vede, il Parlamento italiano ha creduto di poter tacitare i principi comunitari con un artificio formale, sostituendo italianamente alla “proroga automatica”, “la proroga reiterata”. L’ illegittimità dell’ operazione, sollevata da due TAR italiani, è approdata al Giudice europeo il quale con sentenza di pochi giorni fa ha dovuto nuovamente spiegare che questi prolungamenti di un regime anticoncorrenziale non si possono fare. In verità i politici italiani e gli operatori del settore l’ avevano già capito, ed hanno subito reagito – due giorni fa l’ approvazione in Commissione – con un “emendamento -ponte” che consentirebbe di aprire un “regime transitorio fino alla riforma del settore”. E non occorre essere maliziosi per comprendere che più il Parlamento ritardasse la riforma, più a lungo durerebbe l’ inamovibilità dei bagnini: quindi, l’ interesse degli attuali concessionari è per una “buona” legge transitoria.
con una riforma più lontana possibile!
Ma che si chiami “proroga automatica”, “proroga reiterata”, o “regime transitorio”, non cambia l’ effetto, desiderato da molti italiani ma contra rio allo spirito comunitario, di consolidare il dominio degli antichi concessionari, né l’ effetto di privare i nostri giovani della possibilità di concorrere per svolgere il mestiere del bagnino.
Si sostiene che solo i bagnini di lungo corso possano garantire la professionalità e la qualità balneare che abbiamo sotto gli occhi (poca o molta che sia). Ma perché vietare la prova contraria ? Siamo sicuri che TUTTI gli attuali bagnini siano più bravi di TUTTI gli aspiranti tali? E se c’ è questa professionalità, perché non dimostrarla gareggiando ad armi pari nei bandi pubblici, come fanno tutti gli altri? Semmai la qualità è il frutto di una progettazione intelligente (pubblica) di quello che deve essere una spiaggia: quali saranno gli standard ambientali, paesaggistici igienici, e qualitativi del servizio? per esempio il gestore potrà tappezzare la spiaggia di cartelli pubblicitari? quanto cemento potrà (o non potrà) mettere? ci sarà tolleranza con i venditori ambulanti?
sarà consentito lo spam pubblicitario sonoro della Publiphono s.p.a.?
Ripartire con i bandi, significa valorizzare il lavoro umano, rispetto al capitale reso necessario dalla prospettiva logica dell’ inamovibilità. Il guadagno del concessionario deve derivare dall’ attività aziendale, non dalla rendita di posizione. Va bene la tutela dell’ aspettativa di “ritorno degli investimenti” fatti: purché si intendano i costi in strutture materiali, e non il costo di acquisto della posizione!
Sessanta – settanta anni fa, quando iniziarono a funzionare i primi stabilimenti balneari e ci si accorse che la spiaggia era una risorsa turisticamente sfruttabile, lo Stato iniziò a concederne il diritto di sfruttamento economico, a tempo determinato, a piccolissimi imprenditori, i i cd. “bagnini”. Pagando un canone allo Stato, il bagnino diveniva per così dire “affittuario” di un tratto di spiaggia: una volta effettuati alcuni servizi obbligatori, come la pulizia della spiaggia e i gabinetti, egli può trarre un reddito gestendo gli ombrelloni, le cabine e le “sabbiature”.
Queste concessioni dovevano durare cinque anni. Allo scadere, il proprietario (Stato, poi dal 1996 Regione e Comune) poteva riaprire i giochi ridistribuendo le aree per selezione pubblica. Però da subito si vide che i ricavi aumentavano molto più rapidamente dei canoni, sicché alla scadenza, non volendo scontentare le famiglie che nel frattempo avevano scoperto i lati positivi del lavoro sotto il sole – si ritenne opportuno prorogare le concessioni per un altro periodo, e poi per un altro, e poi un altro ancora: finché qualche parlamentare, stufo, si inventò la “proroga automatica permanente”, o, più elegantemente, il “diritto di insistenza”. L’ insistenza altro non è che una strisciante trasformazione dei bagnini da affittuari, in proprietari; in effetti, dire “proprietario”, e dire “concessionario per sempre” è quasi la stessa cosa, se si tiene conto che il canone di concessione, in confronto con i ricavi, è poco più che una piccola tassa; non a caso, proprio come avviene per i proprietari di beni immobili, tutti i bagnini di oggi sono o i primi titolari, o loro figli, o loro acquirenti, o figli dei loro acquirenti.
Chi vuole acquistare il subentro, non paga un prezzo proporzionato agli utili attesi per i prossimi cinque anni, ma, come in una scommessa, al reddito atteso per una durata indeterminata, nella certezza della proroga automatica. Solo così si spiegano i prezzi di un milione e mezzo di euro, dei primi anni 2000. Purtroppo questa “privativa” sulla spiaggia contrasta con la natura pubblicistica e costituzionale dei beni paesaggistici.
A tutela del principio di libera concorrenza, arriva così (2006) l’ intervento di “igiene giuridica” dell’ UE: le leggi nazionali non possono alimentare o sancire o proteggere posizioni imprenditoriali inamovibili e/o sottratte alla concorrenza (protezione che peraltro avviene a tutt’ oggi, diciamolo pure, con i numeri chiusi o semichiusi di tassisti e notai, tema su cui torneremo).
Questo principio non è una cattiveria della direttiva “Bolkenstein” (2006), direttiva citata dai bagnini come esempio di “insensibilità” dell’ Europa rispetto alle tipicità nazionali, ma è un principio generale, suscettibile di deroghe solo se ben giustificate. E la Corte di Giustizia UE ha ritenuto che no, l’ italiana sottrazione degli imprenditori balneari alla normale concorrenza per gara o bando pubblico non è giustificata. Apriti cielo. Bagnini, politici di tutti i colori (tranne i cinquestelle), e sindacati di categoria, fanno bastione “a difesa delle imprese“, “della professionalità acquisita”, “dell’ italianità delle spiagge”, “degli investimenti fatti”. Unici assenti dal dibattito, i cittadini italia ni. Ne esce la legge del 2012, che proroga ulteriormente le concessioni al 2015, e poi quella del 2015, che proroga al 2020.
Come si vede, il Parlamento italiano ha creduto di poter tacitare i principi comunitari con un artificio formale, sostituendo italianamente alla “proroga automatica”, “la proroga reiterata”. L’ illegittimità dell’ operazione, sollevata da due TAR italiani, è approdata al Giudice europeo il quale con sentenza di pochi giorni fa ha dovuto nuovamente spiegare che questi prolungamenti di un regime anticoncorrenziale non si possono fare. In verità i politici italiani e gli operatori del settore l’ avevano già capito, ed hanno subito reagito – due giorni fa l’ approvazione in Commissione – con un “emendamento -ponte” che consentirebbe di aprire un “regime transitorio fino alla riforma del settore”. E non occorre essere maliziosi per comprendere che più il Parlamento ritardasse la riforma, più a lungo durerebbe l’ inamovibilità dei bagnini: quindi, l’ interesse degli attuali concessionari è per una “buona” legge transitoria.
con una riforma più lontana possibile!
Ma che si chiami “proroga automatica”, “proroga reiterata”, o “regime transitorio”, non cambia l’ effetto, desiderato da molti italiani ma contra rio allo spirito comunitario, di consolidare il dominio degli antichi concessionari, né l’ effetto di privare i nostri giovani della possibilità di concorrere per svolgere il mestiere del bagnino.
Si sostiene che solo i bagnini di lungo corso possano garantire la professionalità e la qualità balneare che abbiamo sotto gli occhi (poca o molta che sia). Ma perché vietare la prova contraria ? Siamo sicuri che TUTTI gli attuali bagnini siano più bravi di TUTTI gli aspiranti tali? E se c’ è questa professionalità, perché non dimostrarla gareggiando ad armi pari nei bandi pubblici, come fanno tutti gli altri? Semmai la qualità è il frutto di una progettazione intelligente (pubblica) di quello che deve essere una spiaggia: quali saranno gli standard ambientali, paesaggistici igienici, e qualitativi del servizio? per esempio il gestore potrà tappezzare la spiaggia di cartelli pubblicitari? quanto cemento potrà (o non potrà) mettere? ci sarà tolleranza con i venditori ambulanti?
sarà consentito lo spam pubblicitario sonoro della Publiphono s.p.a.?
Ripartire con i bandi, significa valorizzare il lavoro umano, rispetto al capitale reso necessario dalla prospettiva logica dell’ inamovibilità. Il guadagno del concessionario deve derivare dall’ attività aziendale, non dalla rendita di posizione. Va bene la tutela dell’ aspettativa di “ritorno degli investimenti” fatti: purché si intendano i costi in strutture materiali, e non il costo di acquisto della posizione!
avv. Enrico Gorini
Lettera apparsa sul Corriere Romagna del 27 luglio 2016
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