Negli “anni di piombo”, una sottile linea rossa ha legato purtroppo la nostra città alla storia del cosiddetto “Partito Comunista Combattente”. L’omicidio di Roberto Ruffilli, compiuto a Forlì, fu di fatto l’ultimo messo in atto dalle vecchie Brigate Rosse, nate dalla mente di un forlivese, quel Giovanni Senzani, ideologo e assassino di Roberto Peci, fratello del pentito Patrizio. Mai ufficialmente dissociatosi dal suo passato, Senzani ha finito di scontare la pena nel 2010. Roberto Ruffilli invece è caduto martire per la democrazia sabato 16 aprile 1988.
Nato a Forlì il 18 febbraio 1937, figlio di un operaio comunista e di una casalinga cattolica praticante che abitavano nel quartiere San Biagio, Roberto Ruffilli restò presto orfano di padre. Negli anni della sua adolescenza si formò nelle sale dell’oratorio San Luigi, gestito dai Salesiani, e nel 1956, conseguì la maturità classica al liceo classico “Giovanni Battista Morgagni” di Forlì, ottenendo un elogio dal Ministero della Pubblica Istruzione.
Dopo il diploma partecipò al concorso per i dieci posti gratuiti banditi dal Collegio Augustinianum dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, che era allora punto di riferimento e d’incontro di intelligenze e di libertà intellettuali straordinarie. A Milano Ruffilli scelse di frequentare la Facoltà di Scienze Politiche e divenne compagno di studi di Romano Prodi.
Nel 1960, dopo essersi laureato a pieni voti, proseguì gli studi presso l’Istituto per la Scienza dell’Amministrazione Pubblica ISAP Milano, dove poté sviluppare le esperienze di studio maturate negli anni precedenti e svolgere il tirocinio di ricercatore in un ambiente stimolante e innovativo.
Nel 1968, in un periodo difficile della vita universitaria, Ruffilli tornò al Collegio Augustinianum per ricoprire l’incarico di direttore.
Nel 1970 lasciò il Collegio per dedicarsi agli studi che più lo interessavano, in particolare quelli riguardanti: l’evoluzione dello Stato nell’Europa moderna e nel mondo contemporaneo; la trasformazione dei regimi democratici nel XX secolo, con particolare riferimento ai processi di mutamento e di riforma istituzionale degli ordinamenti amministrativi e politici dell’Italia pre-unitaria e unita; il processo di formazione della Carta Costituzionale italiana; le riforme istituzionali in genere.
Anche se nel 1971 accettò una cattedra come docente di Storia all’Università di Bologna, i suoi studi non furono solo accademici. Nella sua visione politica, Ruffilli attribuiva ai partiti, di cui sempre sottolineò l’insostituibile ruolo nella vita democratica, il compito di prescegliere, in sede di competizione elettorale, la coalizione di Governo che sarebbero andati a formare. Solo in questo modo si poteva giungere a un sistema nel quale blocchi ideali e politici si sarebbero alternati al Governo del Paese.
Per Ruffilli il cittadino era il vero arbitro nello scegliere e nel cambiare la maggioranza di Governo, senza che fosse affidata ai partiti una delega in bianco, che avrebbe svuotato di contenuti il mandato elettorale conferito all’elettore. Non a caso tra i suoi testi più importanti vanno citati “Materiali per la riforma elettorale” e “Il Cittadino come arbitro”.
Negli anni Ottanta, la vita di studioso si intrecciò strettamente con l’impegno politico. Dapprima entrò a far parte del “gruppo di lavoro” del segretario della Democrazia Cristiana, Ciriaco De Mita. Nel 1983, poi, quando De Mita decise di inserire nelle liste elettorali alcuni esponenti non legati agli apparati del partito, Ruffilli venne eletto senatore della Repubblica nelle file della Democrazia Cristiana in un collegio elettorale del Lazio.
La sua attività politica restò sempre un coerente sviluppo di quella di studioso e lo condusse ad assumere un ruolo di primo piano nell’analisi del sistema politico italiano, oltre che nello studio e nell’elaborazione del progetto di riforma istituzionale ed elettorale.
A Roma Ruffilli mantenne un basso profilo, caratterizzato da uno stile semplice e sereno, di intellettuale discreto, di persona mite e attenta ai problemi e alle posizioni di tutti. Nella capitale però non si trovò mai pienamente a proprio agio, per questo, ogni fine settimana, faceva rientro a Forlì dove, dopo la morte della madre, si prendeva cura di lui la zia e dove era solito trascorrere piacevoli serate in compagnia di amici.
La mattina di sabato 16 aprile 1988, pochi giorni dopo la nascita del governo presieduto da Ciriaco De Mita, Roberto Ruffilli giunse a Forlì in treno da Roma. Al mattino partecipò alla Camera di Commercio a una celebrazione per l’anniversario dell’oratorio salesiano. Al termine dell’incontro qualcuno gli chiese di andare insieme a pranzo, ma lui volle tornare a casa perché aspettava notizie da Roma del governo De Mita di cui era consigliere per tutte le questioni legate alle riforme istituzionali.
Alle 12.15, dopo avere acquistato tre quotidiani all’edicola di fianco a Sant’Antonio Vecchio, a pochi passi dalla sua abitazione, Ruffilli fece rientro a casa. Pochi dopo, due finti postini suonarono alla sua porta col pretesto di recapitargli un pacco postale, una scusa fin troppo poco plausibile se si pensa che tuttora le Poste Italiane non effettuano consegne di sabato. Entrati nell’abitazione i finti postini lo fecero inginocchiare e lo freddarono barbaramente con tre colpi di pistola alla nuca.
Alle 16.45 il vigliacco assassinio venne rivendicato con una telefonata alla redazione del quotidiano «La Repubblica»: “Abbiamo giustiziato il senatore DC Roberto Ruffilli a Forlì. Attacco al cuore dello Stato. Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente”.
La reazione della città fu di sdegno e commozione. Dal punto di vista istituzionale la prima iniziativa che venne presa fu la convocazione, il giorno seguente, di un Consiglio Comunale straordinario in forma congiunta con quello Provinciale.
Le prime indagini messe in atto portarono al ritrovamento in via Caterina Sforza, a poche decine di metri dall’abitazione del senatore, del furgone FIAT Fiorino di cui si erano serviti i brigatisti, e al cui interno erano state abbandonate le finte divise da postini. In un cassonetto venne poi ritrovato il falso pacco di cui si erano serviti i brigatisti per simulare la consegna alla vittima, che recava sopra scritto il nome del senatore e tracce di sangue.
Alcuni giorni dopo, il 21 aprile, alle 10.40, venne fatto ritrovare a Roma, in un bar di via Torre Argentina, un volantino rivendicante l’assassinio, firmato BR-PCC, scritto a due mani, con due diverse testine di macchina da scrivere IBM, il cui lungo e complesso testo così esordiva:
«Sabato 16 aprile un nucleo armato della nostra organizzazione ha giustiziato Roberto Ruffilli, ideatore del progetto politico di riformulazione dei poteri e delle funzioni dello Stato nonché suo articolatore concreto. […] uno dei migliori quadri politici della DC, l’uomo chiave del rinnovamento, vero e proprio cervello politico del progetto demitiano, teso ad aprire una nuova fase costituente, perno centrale del progetto di riformulazione delle regole del gioco, all’interno della complessiva rifunzionalizzazione dei poteri e degli apparati dello Stato. Ruffilli era altresì l’uomo di punta che ha guidato in questi ultimi anni la strategia democristiana sapendo concretamente ricucire, attraverso forzature e mediazioni, tutto l’arco delle forze politiche intorno a questo progetto, comprese le opposizioni istituzionali […]. Firmato: Brigate Rosse per la costituzione del Partito Comunista Combattente»
Le impronte raccolte sul furgoncino portarono all’identificazione di Fabio Ravalli, uno dei componenti del commando brigatista omicida. Questa traccia, nel giro di sei mesi, consentì la scoperta di quattro covi a Roma e di uno a Milano. In quest’ultimo venne rinvenuta la mitraglietta Skorpion utilizzata per l’omicidio del senatore forlivese, la stessa con cui era stato ucciso l’ex sindaco di Firenze, Lando Conti, e l’economista Ezio Tarantelli. Nel giro di tre anni vennero portate a termine le indagini, furono compiuti gli arresti e l’intero iter della giustizia fece il suo corso.
Il primo grado si aprì a Forlì nell’aprile del 1990, appena due anni dopo il delitto. Il processo per la città fu un vero e proprio evento. «Forlì venne blindata – racconta Roberto Mescolini, il Pubblico Ministero che seguì le indagini – con misure di sicurezza straordinarie per il carcere, davanti al tribunale stava piazzato una specie di carro armato. In aula poi sembrava di stare a teatro. C’era sempre il pienone, i forlivesi erano impressionati dalle gabbie con gli imputati, in Corte d’Assise. quel processo tuttora è considerato un simbolo perché significò la fine delle vecchie BR».
Ad appena un mese dall’inizio del processo si ebbero nove condanne all’ergastolo. Al giudizio della Corte d’Assise forlivese fece seguito, esattamente un anno dopo, quello della Corte d’Assise d’Appello di Bologna che comminò in tutto undici ergastoli. In pratica l’intero gruppo di fuoco del “Partito Comunista Combattente” (compresi due sospettati minori), accusato di avere assassinato il senatore democristiano, fu condannato al carcere a vita.
Nonostante tutto ancora oggi un dubbio permane: la mediocrità dei personaggi condannati per l’assassinio di Ruffilli lascia pensare che altre menti, molto più sottili e preparate, si siano trovate dietro la stesura dell’articolato e ben documentato volantino di rivendicazione. È vero che il senatore forlivese rappresentava per le BR un bersaglio facile e disarmato, in una tranquilla città di provincia che, specie alla fine degli anni ’80, si sentiva ben lontana dai problemi del terrorismo. Certo è che le Brigate Rosse colpirono Ruffilli non perché era uomo di potere ma perché era uomo di pensiero e di idee. Era lui che aveva preso in carico il progetto di De Mita di modernizzare lo Stato Italiano, era sempre lui che stava lavorando a una riforma istituzionale che avrebbe creato una democrazia dell’alternanza, che avrebbe ulteriormente social democratizzato il Partito Comunista.
Ruffilli credeva fermamente in quello che chiamava “compromesso costituente” e in questo vi si possono trovare strette analogie politiche con il più efferato omicidio politico compiuto dalle BR dieci anni prima: quello del senatore DC Aldo Moro, ideatore del “compromesso storico”. Per Ruffilli “compromesso costituente” significava trovarsi tutti intorno a un tavolo e rinunciare a qualcosa per il raggiungimento del bene comune.
La barbara uccisione di Ruffilli ebbe indirettamente una ricaduta positiva sulla nostra città e su tutta la Romagna, accelerando l’apertura del polo universitario romagnolo. Dalla lettura del testamento del professore, scritto qualche mese prima di essere assassinato dalle BR, si apprese infatti che egli intendeva donare la sua personale biblioteca alla futura “Università di Romagna”. Il dibattito a livello regionale per un insediamento universitario in Romagna era in corso oramai da una decina d’anni. A quel punto crebbe forte il desiderio di onorare in fretta l’ultima volontà espressa dal senatore Roberto Ruffilli.
Nel 1989, al termine dei lavori di restauro, il Palazzo Orsi Mangelli già Merlini, in corso Armando Diaz (a poche centinaia di metri da dove abitava il senatore), divenne sede della segreteria e del corso di Laurea in Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Bologna in Forlì. Lo stesso palazzo ospitò inoltre la Ser.in.Ar, la società che promuove e sostiene le attività dell’Università di Bologna nella provincia di Forlì-Cesena e la Biblioteca “Roberto Ruffilli”, dove si trovava la scrivania di presidenza, posta simbolicamente in mezzo ai libri del professore ucciso.
Dall’Anno Accademico 1989-1990 fino alla sua confluenza nella Scuola di Scienze Politiche, anche la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Bologna, sede di Forlì, fu intitolata a Roberto Ruffilli.
Da qualche anno Università, Biblioteca e Ser.in.Ar. sono state trasferite nella nuova e più vasta residenza di piazzale Sante Solieri, negli edifici che un tempo ospitavano l’Ospedale “Morgagni”.
Alla memoria di Roberto Ruffilli sono stati dedicati:
– l’aula 115 dell’Università Cattolica di Milano;
– l’Istituto Statale di Istruzione Superiore “Roberto Ruffilli” che a partire dal 2000-2001 comprende – l’Istituto Professionale per i Servizi Sociali “Melozzo da Forlì” e l’Istituto Professionale per il Commercio e il Turismo “Ivo Oliveti” (dal 1 settembre 2014 denominato Istituto Professionale “Ruffilli”);
– una casa di riposo, sita sul lato opposto di corso Diaz rispetto alla casa dove Ruffilli abitava e dove venne ucciso;
– una Fondazione che promuove iniziative di studio, ricerca e formazione sui temi della vita pubblica;
– un riconoscimento della Camera di Commercio di Forlì-Cesena agli studenti che hanno superato l’esame di Stato della Scuola Media secondaria con una votazione di 100/100;
– la Biblioteca Centralizzata del Polo di Forlì dell’Università di Bologna, sita nell’ex Padiglione Pallareti dell’ex Ospedale “Morgagni”.
CON IL NASO ALL’INSÙ
All’incirca di fronte alla Chiesa di Sant’Antonio Abate, al numero 116 di corso Diaz, due lapidi – poste a destra di un portale con ghiera in cotto, quasi certamente di epoca rinascimentale – ricordano l’uccisione del senatore Roberto Ruffilli da parte delle “Brigate Rosse”.
La prima, collocata a un anno di distanza dal feroce assassinio, reca incise queste parole:
IN QUESTA SUA DIMORA DI SERENITÀ E DI STUDIO / IL 16 APRILE 1988 / CADEVA VITTIMA DI BARBARO ATTENTATO TERRORISTICO / ROBERTO RUFFILLI / PROFESSORE NELL’UNIVERSITÀ DI BOLOGNA / SENATORE DELLA REPUBBLICA / MENTRE INTENSAMENTE OPERAVA / CON FEDE CRISTIANA E INTELLIGENZA POLITICA / PER IL RINNOVAMENTO DELLE ISTITUZIONI DEMOCRATICHE. / LA SUA CITTÀ / RICORDANDONE COMMOSSA IL SACRIFICIO / NEL PRIMO ANNIVERSARIO
La seconda, posta nel ventennale dell’omicidio, rimarca:
VENT’ANNI FA / LE BRIGATE ROSSE PARTITO COMUNISTA COMBATTENTE / A DIECI ANNI DI DISTANZA DAL SACRIFICIO DI ALDO MORO / UCCISERO UN ALTRO CATTOLICO DEMOCRATICO / ROBERTO RUFFILLI / MA NON IL SUO PENSIERO POLITICO E COSTITUZIONALE / IL CITTADINO COME ARBITRO / RESTA PATRIMONIO DI TUTTI I SINCERI DEMOCRATICI / LA SUA LATA LEZIONE DI IMPEGNO CULTURALE E CIVILE / SIA ESEMPIO E MONITO PER LE GIOVANI GENERAZIONI / Q.M.P. 16 APRILE 2008
Il restauro dell’edificio, terminato nel 2005, è stato condotto dall’architetto Roberto Gherardi. Nel 2011 l’appartamento del professor Ruffilli è stato destinato a sede della Fondazione che porta il suo nome e che promuove iniziative di studio, ricerca, informazione e incontro su temi e problemi della vita pubblica, rivolgendosi in particolare ai giovani.
Per concludere va detto che, il 4 ottobre 1845, in questo stesso palazzo nacque Olindo Guerrini, noto anche come Lorenzo Stecchetti, poeta e scrittore italiano, autore di irriverenti sonetti dialettali contro i potenti e fortemente anticlericali, di cui quest’anno, il 21 ottobre, ricorre il centenario della scomparsa.
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