Marzio Casalini propone un nuovo partito. Ma forse il compromesso virtuoso è meglio ricercarlo all'Interno del Pd. Bisogna adeguare i valori storici della sinistra alla modernità
Nei giorni scorsi Marzio “Gataz” Casalini, mio amico e mio editore, ha proposto la creazione di un partito di sinistra. Ha detto che sarebbe disponibile a lavorare. Ed è convinto che possa prendere il quindici per cento.
Non so se ci sia bisogno di un altro partito. Io, caro Marzio, ho sempre apprezzato la tua capacità di analisi politica, ma fatico a credere che un nuovo partito di sinistra possa raccogliere il quindici per cento delle preferenze, sia a livello locale che nazionale. Per raggiungere un simile risultato elettorale oltre ad un progetto politico serve un leader che abbia un particolare appeal. E, onestamente, non vedo nessuno in giro che possa ricoprire questo ruolo. Va da sé che non può essere D’Alema che a me comincia anche a stancare. Noi anziani possiamo andare bene per dibattere fra amici davanti al caminetto, ma ad un certo punto dobbiamo avere l’umiltà di farci da parte. Potrebbe essere Emiliano. Ma credo che difficilmente abbia voglia di abbandonare il Pd per imboccare una nuova strada. Affascinante, ma ricca di ostacoli. Laura Boldrini e Giuliano Pisapia sarebbero nomi spendibili, ma non sono quei trascinatori, a livello mediatico, di cui questo processo necessita. Resta il fatto che c’è più bisogno di sinistra. Sia come formazione politica che all’interno del Pd. Una sinistra moderna, riformista, keynesiana.
Ha ragione Mario Ricciardi quando, sulla rivista “Il mulino”, scrive: adesso il Pd è una costellazione di gruppi, tenuta insieme da legami diversi, non necessariamente di cultura o sensibilità politica, che guarda soprattutto al centro. Un’alleanza in cui ex popolari ed ex democristiani convivono in relativa serenità con ex miglioristi del Pci.
Non basta più. Anzi non basta a prescindere. Ma non è sufficiente in un momento come quello attuale In cui registriamo una drammatica riduzione della quota di prodotto sociale da distribuire. L’espansione della libertà di alcuni entra in tensione con le pretese di beni sociali da parte di altri. Non è un conflitto tra libertà ed eguaglianza, ma un conflitto distributivo perché anche le libertà sono beni sociali. Secondo qualcuno (Pisapia in testa, ma anche il mio amico Marzio) una formazione della sinistra a fianco del Pd potrebbe riequilibrare i rapporti tra le due famiglie progressiste. Tenendo conto che l’equilibrio delle forze all’interno dei Democratici, e forse anche nella società nel suo complesso, è probabilmente a favore di quella di ascendenza liberale, piuttosto che di quella di ascendenza socialista.
Forse elettoralmente sarebbe sbagliato, ma io credo che invece ci debba essere uno spostamento a sinistra del Pd. Quel compromesso virtuoso di cui parla Ricciardi, richiamando
Avishai Margalit, deve avvenire all’interno del partito.
Del resto l’evoluzione che sta avendo la sinistra forse sorpassa a destra gli stessi ex miglioristi. La sinistra deve continuare a rifarsi ai suoi valori: più giustizia sociale, più civismo, più solidarietà, più ambiente, più cultura, sviluppo basato sul lavoro, più spazio alle misure contro la povertà. Tutti però declinato in modo moderno. Senza posizioni vetero e continuando ad aprirsi a una società civile che, a sua volta, deve adeguarsi allo sviluppo della società.
L’obiettivo è avere un progetto che possa permettere di costruire le condizioni per equilibri avanzati. Non bisogna dimenticare che l’essenza di una politica progressista è fare un’analisi fondata sulla realtà, tentare i risultati possibili in base ai rapporti di forza e valutare gli esiti effettivi di quanto è stato fatto. Insomma, una politica riformista dei piccoli passi basati su determinati valori.
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