Prima l'sos erano anziani e non autosufficienza. Il sistema è a regime. Ora l'allarme sono le nuove povertà. Crescono le famiglie in difficoltà. Non possiamo far crescere i bambini a due velocità. Rischiamo fenomeni di emarginazione che potrebbero avere ripercussioni gravi
Un difficile equilibrio. Non per la volontà, ma per le ristrettezze economiche con le quali i Comuni devono avere a che fare. Chi rischiamo di più sono i servizi sociali. Uno dei principali assessorati di spesa. Lo è in generale, ma lo deve essere ancora di più per un’amministrazione di centrosinistra. Il problema non è solo che i soldi calano e i bisogni aumentano. Qui si tratta di confermare quanto è stato fatto fino ad ora è dare risposte alle nuove esigenze. Si parte dalle povertà, quelle estreme, ma non ci si ferma lì.
Innanzitutto dobbiamo prendere coscienza che non siamo gli stessi che eravamo prima della crisi e che ci vorranno decenni per tornare ai livelli del passato. Prendiamo ad esempio i senzatetto. Una volta erano una rarità per Cesena. Adesso sono un elemento col quale far di conto. Per questo è stato aperto il servizio di accoglienza notturna, ma si va verso un centro di accoglienza diurno per evitare anche che dimorino in luoghi a loro non deputati come, ad esempio, la biblioteca Malatestiana. C’è poi il tema delle famiglie in difficoltà e di come supportarle anche in base alle loro capacità. E qui si apre anche il delicato tema dei minori.
In passato le politiche sociali del Comune di Cesena si sono concentrate su anziani e non autosufficienza. Ora il sistema è a regime. Si può migliorare, attraverso integrazioni, la sanità di territorio. Ma il sistema è a posto e i costi sono abbastanza alti e vanno mantenuti.
Nel contempo bisogna preoccuparsi pure delle nuove povertà anche per aiutare i bambini a non restare isolati. Rischiamo di perdere delle generazioni. Ormai ci sono minori che crescono a due velocità. Ha ragione Simona Benedetti, assessore ai Servizi sociali, quando dice che è un assurdo vedere che solo il trenta per cento dei bambini va alle gite scolastiche. Chi rimane a casa ovviamente lo fa per un problema economico. Bisogna fare attenzione ad accompagnare bene questo fenomeno. Il rischio è di creare situazioni come ci sono in altri paesi europei. La stragrande maggioranza dei bambini in difficoltà sono figli di immigrati. Se non li aiutiamo non solo impoveriamo il territorio perché diminuisce la scolarità, ma rischiamo di creare fenomeni come si vedono in Francia e Germania, ad esempio. Giovani stranieri di seconda generazione che vivono ai margini della società e si ribellano facendo gesti eclatanti.
Non a caso Goffredo Baccini, sul Corriere della Sera, analizzando il fenomeno dell’immigrazione, scrive: non abbiamo seconde generazioni rancorose verso lo Stato (le avremo, se continueremo a rinviare la sacrosanta legge sulle nuove cittadinanze).
Ma, ritengo, che le avremo anche se faremo dei ghetti, se intensificheremo la guerra per bande. Integrazione non vuol dire assistenzialismo allo stato puro. Chi ha bisogno deve facilitare il lavoro di chi lo aiuta. Ma cercare di non lasciare qualcuno indietro non è un aiuto alla singola persona, ma alla nostra comunità.
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