Gessi, giudici troppo duri

Comune pasticcione sì, ma non credo sia stata violata scientemente la buona fede contrattuale

Errori sì, violazione della buona fede contrattuale no. Leggo sulla cronaca di Cesena del Corriere Romagna che nelle motivazioni della vicenda del ristorante “Ai Gessi” i giudici della Corte di Cassazione hanno strigliato il Comune  (dell’epoca) per la violazione degli articoli del Codice civile che impegnano la pubblica amministrazione ad operare in buona fede nella formazione dei contratti.  Ha infatti – scrive Gianpaolo Castagnoli facendo riferimento al contenuto delle motivazioni-  segnalato nella sentenza che chi a Palazzo Albornoz gestì la partita “omise di informare la controparte, pronta ad impegnarsi con impegni gravosi, della dubbia legittimità del titolo con cui costruire la veranda”.

Non ci credo. Nel senso che non credo che Dea Frani o la giunta abbiano volutamente omesso un particolare così delicato. A parte che quest’ultima, in un’intervista al Resto del Carlino, ha detto che c’era il parere favorevole della commissione edilizia, particolare che, a mio avviso, modifica l’angolatura dalla quale guardare la vicenda.

 

Inoltre io non ce lo vedo il Comune di Cesena (da chiunque sia governato), e in particolare un dirigente dello stesso, fare dei giochini per dare la concessione di un ristorante.

 

Cui prodest? Verrebbe da chiedersi, anche in considerazione del fatto che quell’immobile  se fosse stato messo all’asta come casa di civile abitazione al Comune avrebbe reso molto di più.

Il caso invece, molto più semplicemente, si inserisce in una vicenda non dico tutta cesenate, ma quasi.

 

Le verande, nei locali pubblici, si fanno da tempo immemorabile. All’inizio degli anni Ottanta venivano autorizzate solo per l’estate

Poi non fu più richiesto lo smontaggio, ma restarono temporanee. Nel senso che periodicamente doveva essere essere chiesto il rinnovo. A dare una accelerata fu  Giorgio Andreucci, assessore all’Urbanistica con Preger e della prima giunta Conti. Le ha sempre difese a spada tratta anche perché ha sempre sostenuto che il primo compito di chi governa è dare risposte il più veloci  possibile alle imprese.

Il tutto fu disciplinato anche dal regolamento edilizio. Si rivelò un castello di carta che crollò sulla base del ricorso di un residente, stanco del rumore che facevano nella veranda del bar che aveva sotto casa. Emerse che le autorizzazioni provvisorie, così  come disciplinate nel Regolamento comunale, violavano le normative regionali.

Il giudice di appello, le cui motivazioni sono state riprese dalla Cassazione, ha aggiunto che l’amministrazione comunale lo sapeva ben prima che i nodi venissero al pettine. Se lo ha messo nero su bianco significa che ne aveva le prove. Se anche fosse così però continuo a non ritenere possibile che sia stata violata scientemente la buona fede contrattuale. Insomma: pasticcioni sì, in malafede no. Anche perché torna la domanda di prima: cui prodest?

E, sono dell’idea, che in un procedimento si debba anche dimostrare il movente.

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Davide Buratti

Davide Buratti, giornalista professionista, fondatore della Cooperativa Editoriale Giornali Associati che pubblica il Corriere Romagna, di cui dal 1994 e per 20 anni è stato responsabile della redazione di Cesena. Oggi in pensione scrive di politica, economia e attualità a 360 gradi nel suo blog per Romagna Post. Per contatti utilizzate il box commenti sotto gli articoli. 

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